C'è chi si dimette per ammissione di colpa, la colpa di non aver saputo gestire un partito ingestibile, riottoso, masochista e venato dai soliti giochini di potere. C'è chi si dimette perché "non responsabile". C'è chi rinuncia alla candidatura, perché di scarpe gliene hanno fatte abbastanza.
E poi c'è chi resta al proprio posto, un posto che non merita perché da quattro lustri colleziona sconfitte, inciuci e trame oscure da cui esce sempre misteriosamente impunito. E c'è chi a rinunciare alla candidatura non ci pensa neanche.
Finché D'Alema, la Finocchiaro, Letta, Fioroni, Franceschini e la loro allegra comitiva, che farebbe impallidire la P2, non si faranno da parte e non si prenderanno gli insulti che meritano, non basteranno le dimissioni degli altri.
Forse la cosa che non è chiara a questi maestri della strategia politica è che da qui non si torna indietro. Questa è la formattazione del Pd, che sconta nella maniera più tragica, oltre alla malafede di molti, le irrisolte contraddizioni interne. Questo è il punto di non ritorno, perché chiunque succederà a Bersani sa che non potrà più ignorare la volontà dei suoi elettori e della base. Cambia il modo di fare politica e cambia nella maniera più dura e drammatica per il Paese. Si ripartirà necessariamente da coloro che hanno fatto resistenza ieri e che non hanno tradito oggi, che per fortuna non sono pochi e che, non a caso, sono il frutto bellissimo delle primarie per il Parlamento. Sono gli stessi che hanno dovuto rispondere al telefono e placare l'ira dei propri elettori. A loro è stato chiesto un conto che ai cospiratori non verrà mai chiesto.
Ci aspettano giorni e mesi, forse anni, di battaglia per cambiare tutto. Non so in che misura, non so in che termini e non so con quante speranze, ma io ci sarò.
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