mercoledì 21 maggio 2014

Balle belle se han cinque stelle


Non mi pare strano che un disoccupato o un inoccupato senza grande capacità di elaborazione politica si animi vedendo Grillo sbraitare in tv o da un palco. È un misto di rabbia, frustrazione, speranza di cambiamento, sfiducia, intemperanza. Non mi stupisce e non mi indigna.
Ciò che mi stupisce e mi indigna è la deliberata attività di manipolazione messa in atto, senza scrupoli né senso del pudore, dallo stesso Grillo e dal suo Movimento. La “teoria” è semplicissima: il Paese è stato vessato da anni di malgoverno e la classe politica deve essere mandata a casa e umiliata nella sua totalità. A sostituirla deve essere una forza nuova (eh sì), fresca, pulita, immacolata, composta da cittadini qualunque animati da mero spirito filantropico. Sottesa è la logica manichea per cui chiunque vesta la casacca di un partito è un colluso, un untore, addirittura, da stasera, un mafioso. Chiunque. Da una parte il bene, dall'altra il male, nella più banale delle teodicee da strada. E così si convincono le persone, i potenziali elettori, che la soluzione a tutti i problemi è a portata di mano e che non occorre neanche sforzarsi. Basta applicare la Legge morale e divina e il gioco è fatto.
Poi magari il disoccupato scopre che non è proprio così. O magari qualcuno glielo spiega. E forse capisce che l'opposizione grillina in Parlamento è utile solo al mantenimento dello status quo e possibilmente all'incremento dell'elettorato; che la disinformazione non è patrimonio culturale solo dei giornali di partito e delle tv berlusconiane ma anche della rete e dalla stampa “libera”; che pensare di essere “oltre Hitler” e aprire processi sommari su internet per politici e giornalisti siano proposte poco ragionevoli e anche un tantinello venate di autoritarismo; che, nel mondo delle sfumature tonali, dipingere la realtà con il monocolore non è solo un errore, è malafede; che la rinuncia ai rimborsi non è una rinuncia se non si hanno i requisiti minimi per percepirli; che la politica è fatta di contributi volontari ma anche di contributi pubblici, perché sono garanzia di pluralismo e democrazia; che l'evasione fiscale non è un'esclusiva per anime belle, ma che difficilmente chi si è fatto pagare in nero milioni di euro sarà poi molto credibile in materia; che le balle non sono diverse se sono targate Pd, Forza Italia o M5S, ma restano balle; che il bozzetto di genere per cui a un'Italia buona fatta di cittadini comuni, onesti e integerrimi si contrappone l'Italia della Casta e delle auto blu è un ritrattino buono a tenere a freno la coscienza di tanti ma certo non a cambiare le cose; che non essere né di destra né di sinistra vuol dire essere di destra.
Sì, perché la realtà, mi dispiace, è un po' più complicata di così: la crisi ha cause storiche e politiche ben definibili e rintracciabili in un Occidente che si è gettato in pasto al liberismo più selvaggio, nel nome della sacrosanctitas del divo mercato. In questo contesto in Italia abbiamo dato sfogo alle forme più estrose di connivenza tra concorrenza darwiniana e monopolio, in una commistione di interessi e intrecci tra pubblico e privato in cui si sono infilati tutti, dal banchiere fino all'ultimo dei dipendenti. Mangiando, chi più chi meno, certo, come se non ci fosse un domani. Ma il domani è arrivato, con una tavola imbandita dalla quale non cadono più né briciole né avanzi. Si indigna oggi chi doveva indignarsi ieri, o l'altro ieri; e si indigna pure molto male, affiggendo su una bacheca virtuale la lista di proscrizione.
Quello che non sento, mai, dalle parti di Sant'Ilario è un progetto, un'idea, una proposta. Sento, in compenso, illazioni, piccoli sabotaggi, meschinità, diffamazione e un'immensa operazione ipnotica, volta a solleticare e assecondare le paure e i sentimenti più sordidi delle persone, attraverso una comunicazione distorta, costantemente artefatta e studiata con scienza grottescamente criminale.

Se devo scegliere, grazie, mi tengo Giolitti.