martedì 23 aprile 2013

I trasformisti


Dopo mesi passati a denigrarlo e a dipingerlo come il sosia giovane e toscano di Berlusconi, in maniche di camicia, piacione e pop, ora tutta la dirigenza Pd si scopre favorevole a Renzi. Da Franceschini a Letta, passando per Orfini, il bersaniano di ferro, e D'Alema, il berlusconiano più attivo, gli abili strateghi che hanno condotto alla rielezione di Giorgio Napolitano sparano i botti a sorpresa. Devono aver rivisto Zelig di Woody Allen. 
Ora, trascurando il fatto che bruciare così l'unica personalità del Pd che ha dimostrato di godere di un largo consenso popolare è un'idiozia che corona degnamente questi ultimi giorni, mi pare che questa pioggia di trasformisti confermi la responsabilità attiva, e non solo indiretta o morale, del sindaco di Firenze nel disastro presidenziale. D'altra parte non è affatto escluso che tutta questa manovra non sia motivata dalla volontà di screditare e affossare definitivamente il buon Matteo. In ogni caso, la questione assume i contorni del grottesco, se si pensa alla rottamazione. Se la stessa dirigenza rottamanda incarica il rottamatore, dove va a finire l'unico punto accettabile della proposta politica di Renzi?
Si aprono orizzonti rosei per la sinistra italiana. Da oggi magari potranno convivere amorosamente Rosy Bindi, che con la consueta perspicacia individua nei social network e nella base il problema dei giovani parlamentari piddini che non hanno votato per Marini, Anna Finocchiaro, che la base non sa neanche cos'è, Giuseppe Fioroni, che vorrebbe buttare fuori Civati e tutti quelli che non hanno ceduto alle larghe intese, Massimo D'Alema, che Prodi non l'ha mica pugnalato alle spalle, e tutti i rottamatori, che si fanno rottamare da un gruppo dirigente che non si può più definire impreparato o stolto, ma abbarbicato ai propri scranni, colluso con la destra e ostile a ogni tipo di cambiamento. 
L'ho già detto e torno a ripeterlo: per tutto questo non c'è una soluzione indolore. Il rinnovamento deve investire i contenuti e con essi le persone. Chi si illude che basti un po' di ricambio generazionale, condito da qualche facile slogan elettorale, chiude gli occhi di fronte alla realtà dei fatti. Una realtà fatta di insoddisfazione profonda, di scollamento tra elettori e dirigenza, di bisogno di cambiamento e di rifiuto delle logiche autoconservative e collaborazioniste, di cui le larghe intese saranno la più accecante manifestazione. 

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