venerdì 30 agosto 2013

Le parole che non ti ho detto (perché non potevo dirtele)


C'è un ritornello abusato; dice che la sinistra italiana non vince perché non sa comunicare. Quante altre elezioni si dovranno perdere prima di prendere coscienza del fatto che il problema non è formale ma strutturale e riguarda i contenuti? Per quanti esperti in comunicazione, marketing, promozione si possano assumere non se ne troverà uno in grado di elaborare una strategia vincente, nella totale assenza di idee, proposte e progetti, anche a breve termine, nella quale ci troviamo a destreggiarci. Le campagne elettorali disastrose cui abbiamo dovuto assistere non sono il frutto sfortunato di un'incapacità momentanea o di uno stato di stordimento generalizzato, ma il prodotto di una mancanza di dialettica interna e di elaborazione sintetica di una proposta convincente e univoca, non soggetta ad ambiguità ed equivoci. Il tentativo di far convivere due anime differenti e, per molti aspetti, alternative non ha dato i suoi frutti perché non poteva darli, nella sua natura tutta politicista e poco sincera. La rincorsa ai cosiddetti moderati ha sortito come unico risultato tangibile lo snaturamento della sinistra, incapace ormai di farsi interprete credibile delle necessità delle fasce sociali più deboli e di istanze di rinnovamento vero rispetto a un sistema economico e sociale fallimentare. In altre parole, abbiamo lasciato a casa Marx e Gramsci, se non attraverso un uso residuale e puntualmente distorto, e ci siamo tenuti l'apparato e i sistemi corazzati di conservazione del potere. Per la paura di alienarci il voto di chi avrebbe dovuto farci vincere e non ci ha mai fatto vincere, abbiamo rinunciato alla creazione di una piattaforma di discussione, in grado di avviare un percorso di crescita politica inclusivo e spregiudicato, mai visto prima. Che è rimasto solo sulla carta, nel bellissimo statuto che il Pd cita solo in prossimità di primarie che sempre di più assomigliano a un costumino stretto stretto, dal quale le pudenda inevitabilmente fuoriescono.
Inutile dire che non ha funzionato nulla. Il messaggio non è mai arrivato a nessuno perché le mille anime interne al Pd non hanno mai cercato un punto di convergenza o valori condivisi differenti dalla mera autoconservazione. Nessuno è mai riuscito a comprendere quale sia la posizione del Pd sul lavoro, sui diritti civili, sul ruolo delle forze armate, sull'etica pubblica, quali siano le proposte nel campo delle politiche ambientali, quale sia il piano industriale ritenuto indispensabile allo sviluppo del Paese, quale sia la forma di rappresentanza democratica indicata, quale sia il piano economico per uscire da una crisi, non solo economica ma culturale, che fa sentire in tutta la sua forza lacerante il bisogno di una sinistra seria e credibile. Il Pd e il centrosinistra non hanno saputo offrire una visione del mondo alternativa alla logica anti-statalista, cinica e individualista, che vede nelle regole imposte per il vivere comune un serio ostacolo all'autoaffermazione del sé e di cui Berlusconi è il campione.
Di questa condizione sono il riflesso tutte le decisioni e le non decisioni prese dall'attuale governo. Ultima, solo in ordine di tempo, quella sull'IMU, sconfitta del Pd su tutta la linea e simbolo di una subalternità che, francamente, non era difficile prevedere. Un prezzo che tutti noi pagheremo, attraverso una tassa diversa e più vessatoria nei confronti di chi meno può permetterselo e attraverso il previsto aumento dell'IVA, per bloccare il quale, ovviamente, mancano le coperture. Quando la negoziabilità di tutti i valori diventa ordinaria amministrazione, può succedere anche questo.
Non sorprende allora il linguaggio trito e acquitrinoso con il quale siamo costretti a fare i conti tutti i giorni. Mutamenti semantici, costrutti perifrastici, indeterminatezza lessicale sono lo specchio di una disfatta valoriale, prima ancora che politica. La cautela morbosa e la retorica speciosa sono le forme con le quali il Pd si manifesta e si rapporta con il mondo e con un elettorato che è distante anni-luce e al quale piacciono pochissimo i meccanismi abituali di sopravvivenza del politico doc. Questi elettori non dovrebbe esplodere in fragorose risate al sentire parole come “responsabilità”, “libertà”, “amore”, “crisi”. A questi elettori, potenziali, da riconquistare e da conservare, piacerebbe sentire parole vecchie ma vive quali “uguaglianza”, “diritti”, “progressività”, “giustizia”, “passione”, “redistribuzione”, “servizi”, “tutela”, “welfare”, “cultura”, “società”, “solidarietà”. A costoro piacerebbe che queste parole, nei rari casi in cui vengono usate, non fossero corpi morti e rispondessero a un significato.
Sono le parole che non ti ho detto. E quando te le ho dette non dicevano niente.

martedì 6 agosto 2013

Le nostre condanne

Vent'anni da un video all'altro. Vent'anni per tornare al simbolo di Forza Italia, mentre l'Italia boccheggia travolta dalla crisi economica, dalla pochezza culturale, dal malaffare, dal malcostume, dall'incoraggiamento all'illegalità e dal dileggio costante delle istituzioni. Berlusconi appare ringiovanito nell'aspetto ma appesantito nella fedina penale: la sentenza di condanna a quattro anni di reclusione passata in giudicato è un medaglietta al disonore che neanche i cavillatori professionisti alla sua corte sono riusciti a evitargli. A coronare l'evento si sprecano i titoli trionfalistici sui giornali stranieri, che prima e meglio di noi hanno compreso le qualità del nostro ex (ex?) Presidente del consiglio ma troppe volte l'hanno dato per morto, sbagliandosi di grosso.
La sentenza della Cassazione sancisce definitivamente l'ignominia di uno Stato il cui primo ministro per un totale di dieci lunghi anni, nonché attuale rappresentante al Senato, è un frodatore conclamato. Come se non bastasse, a ciò si aggiunge la tenuta dell'attuale governo, imposto, a detta dei sostenitori, dall'urgenza della crisi economica e dalla necessità di tenere a bada i mercati e, a detta dei più fantasiosi teorici, dalla strategia di uscita dal berlusconismo insieme a Berlusconi, con annesse scommesse sull'evoluzione politica della destra italiana in senso europeo.
E infatti, ampiamente prevedibili, arrivano le richieste di grazia al Presidente della Repubblica, le trattative per tramutare l'affaire in un novello caso Sallusti, le minacce alla tenuta del governo e i dubbi sulla decadenza del Cavaliere. C'è persino chi, sottraendosi alla retorica della pacificazione, parla di “guerra civile”. E poi, naturalmente, l'immancabile farsa dell'aizzatore di popoli che rassicura gli alleati e, al contempo, tra un piantino e un altro, spara cannonate sulla nostra democrazia e sulla nostra costituzione, parole eversive che dovrebbero inorridire chiunque non provi disprezzo per le istituzioni.
Ma queste sono cose che sapevamo già. Le sapevamo anche prima del 25 febbraio scorso e prima della formazione di questo governo. Le sapevamo anche quando coloro che andavano sbraitando che un governo con Brunetta e Cicchitto non era un'ipotesi contemplata si sono affannati a sperticarsi in articolate argomentazioni sul senso di responsabilità e sulle grandi prospettive che una grosse koalition avrebbe aperto, relegando temi quali i diritti civili e le misure sociali e per il lavoro al cosiddetto benaltrismo. Le sappiamo a maggior ragione adesso.
Berlusconi era politicamente morto nel novembre del 2011. Il Pd l'ha resuscitato con una campagna elettorale disastrosa prima e l'ha sostanzialmente rimesso al suo posto poi, ignorando il messaggio forte e chiaro che veniva dagli elettori, i quali avevano affermato chiaramente che tutto avrebbero voluto vedere fuorché una riedizione del governo Monti senza tecnici, riversando su Grillo aspettative che lo stesso Grillo, per scelta deliberata e non solo per incapacità, non ha mai voluto soddisfare. Chi ha lavorato da sempre alla soluzione delle larghe intese è stato così compensato degli sforzi che neanche ha dovuto fare. Che fosse un'idea stupida, nella sostanza noncurante, checché se ne dica, delle sorti del Paese e puramente conservativa, era chiaro a chiunque lo volesse vedere. È una soluzione che ha fatto male: al Pd, alla credibilità già ai minimi storici della nostra classe dirigente e delle nostre istituzioni, al Paese.
La sentenza, a cui evidentemente non solo Ghedini sperava di non arrivare mai, pone un problema politico di difficile gestione: forse non basteranno neanche più le clamorose arrampicate sugli specchi di cui le nostre oligarchie intellettuali ci hanno deliziato. O forse dovremmo semplicemente rassegnarci all'idea che farci dettare l'agenda di governo da un pregiudicato sia davvero il male minore. Chissà quali preoccupazioni avranno ora all'estero: la stabilità di un governo italiano capace di rinviare qualunque decisione alle calende greche o il fatto che un frodatore del fisco faccia la parte del leone al suo interno?
Ma, come si è già detto, queste cose le sapevamo già. E la realtà è che non è più credibile chi nel Pd, ora, prova a fare la voce grossa. Non siamo pronti al voto, non siamo pronti a porre condizioni, non siamo pronti ad affrontare le sfide che il Paese ci ha chiamato ad affrontare qualche mese fa. Figurarsi se siamo in grado di dire la verità e cioè che il governo Letta è il miglior salvacondotto possibile per Berlusconi e che la sentenza lo condanna dal punto di vista giudiziario ma non da quello politico. Per quello dovevano bastare le scorse elezioni, quando sei milioni di persone hanno deciso di votare qualcos'altro o di non votare proprio. E, tanto meno, siamo pronti a proporci come un'alternativa solida e affidabile ai partiti padronali e demagogici, continuamente puntati al ribasso culturale, civile, morale. Non siamo pronti a voltare pagina perché in troppi non lo vogliono fare e perché non se ne può neppure discutere. Non siamo disposti a modificare forme di rappresentanza che nessuno sente più come soddisfacenti, né siamo disposti a rimetterci in gioco accettando la sfida della partecipazione vera, attiva e consapevole.

Eppure sono necessità stringenti; sono, queste sì, urgenze reali. L'Italia e l'Europa hanno un bisogno inderogabile di discontinuità, di cambiamento e di sinistra. Ma davvero non hanno bisogno di questo Pd.