Un'indicazione molto
interessante viene dalle cosiddette Quirinarie: la rosa dei dieci
nomi più votati dai militanti a cinque stelle, Beppe Grillo a parte,
la cui scontata ridda di preferenze è dettata dal suo ben coltivato
culto della personalità e dalla sua propensione evangelica, è
espressione di un elettorato di sinistra. Se poi in questa lista
compare anche Romano Prodi, cioè colui che ha guidato, sempre contro
Berlusconi, la coalizione vincitrice nel 1996 e quella vincitrice
solo sulla carta nel 2006, allora inizia a frantumarsi, partendo
dalle fondamenta della democrazia liquida, l'usato refrain del “son
tutti uguali” e “da vent'anni bla bla bla”. Beninteso, non
condividere né i provvedimenti presi dal centrosinistra durante i
suoi sette anni di tormentato governo né quelli presi durante gli
undici del centrodestra è parere del tutto legittimo, ci
mancherebbe. Ma velare tutto di un'oscurità fitta in cui ogni
differenza si annulla e tutto assomiglia al suo contrario è un
arbitrio che cela malanimo e ignoranza o, peggio, malafede.
Certamente questi voti
online, molto poco trasparenti e piuttosto esigui nel numero ma, ciò
nondimeno, in qualche modo rappresentativi, confermano che molti dei
voti che alle ultime elezioni sono mancati al centrosinistra, in
misura molto maggiore rispetto a quelli che sono mancati al
centrodestra, sono da rintracciare nel Movimento di Grillo.
A maggior ragione allora,
è doveroso sostenere ancora e con più decisione la strategia di
confronto con i grillini proposta da Bersani e, soprattutto,
rifiutare recisamente quella enorme foglia di fico, buona ad
assecondare non l'urgenza che il momento impone ma la paura di
tornare in Parlamento con molti meno seggi e molto meno potere
contrattuale, chiamata governissimo. Ricordo agli smemorati, si veda
alla voce Franceschini, che Berlusconi non fa mai niente per niente e
che di sicuro non ha mai mostrato di possedere quel senso di
responsabilità e quel rispetto delle istituzioni che finge di avere
in questo frangente. Questi repentini rigurgiti di resipiscenza sono
poi significativamente alternati dai grandi successi di sempre, dalla
magistratura politicizzata al terrore rosso, come successo non più
tardi di sabato a Bari, regolarmente ben al di sotto della soglia di
decenza minima per vivere in un contesto sociale, soglia che pure
abbiamo giocoforza abbassato in maniera drastica in questi anni.
Come al solito, il
dialogo è la soluzione. Ma con chi si è fatto carico dell'istanza
di rinnovamento e ne ha fatto la propria – pur demagogica –
bandiera. Perseverare in questo tentativo è l'unica via per scavare
un solco entro il quale seminare alcuni contenuti. Dall'occasione di
un confronto serio e non obliterato a priori da una gestione
padronale e autoritaria del partito potrebbero trarre beneficio
entrambi gli interlocutori: da una parte il Pd imboccherebbe la
strada migliore, accogliendo e discutendo senza paraocchi alcune
questioni pressanti, soprattutto di moralità, e rendendo finalmente
operative quelle proposte di cambiamento da molto tempo presenti nel
partito ma mai assunte e sposate pienamente per paura di abbandonare
un modo di fare politica superato; dall'altra parte il M5S vedrebbe
valorizzata la propria parte democratica e costruttiva, fagocitata
finora dal dispotismo della diade al comando, e, a contatto con
l'unica forza realmente democratica rimasta in questo Paese,
scoprirebbe che il confronto non è automaticamente un inciucio e che
la dialettica, interna ed esterna, non è un segno di debolezza ma
una dimostrazione di intelligenza. Resterebbe così ai margini quella
fetta ingombrante del Movimento catapultata in Parlamento per alzare
muri e fare barricate, ergendosi a portavoce della democrazia
diretta, che non è possibile ora e che non era possibile neanche
nell'Atene di Pericle, e facendosi interprete di quella politica al
ribasso, già ben nota a Berlusconi e al Berlusconismo, così
minacciosa per la sopravvivenza democratica del nostro Paese.
Al netto degli interessi
privati ed extra-politici dei capi del Movimento, questa è
un'occasione di crescita diversa ma comune. Non da rigettare nel nome
degli ultimi vent'anni ma da cogliere perché i prossimi venti siano
un po' meno peggio di quelli passati.
Nessun commento:
Posta un commento