lunedì 15 aprile 2013

Il dialogo dietro la cortina




Un'indicazione molto interessante viene dalle cosiddette Quirinarie: la rosa dei dieci nomi più votati dai militanti a cinque stelle, Beppe Grillo a parte, la cui scontata ridda di preferenze è dettata dal suo ben coltivato culto della personalità e dalla sua propensione evangelica, è espressione di un elettorato di sinistra. Se poi in questa lista compare anche Romano Prodi, cioè colui che ha guidato, sempre contro Berlusconi, la coalizione vincitrice nel 1996 e quella vincitrice solo sulla carta nel 2006, allora inizia a frantumarsi, partendo dalle fondamenta della democrazia liquida, l'usato refrain del “son tutti uguali” e “da vent'anni bla bla bla”. Beninteso, non condividere né i provvedimenti presi dal centrosinistra durante i suoi sette anni di tormentato governo né quelli presi durante gli undici del centrodestra è parere del tutto legittimo, ci mancherebbe. Ma velare tutto di un'oscurità fitta in cui ogni differenza si annulla e tutto assomiglia al suo contrario è un arbitrio che cela malanimo e ignoranza o, peggio, malafede.
Certamente questi voti online, molto poco trasparenti e piuttosto esigui nel numero ma, ciò nondimeno, in qualche modo rappresentativi, confermano che molti dei voti che alle ultime elezioni sono mancati al centrosinistra, in misura molto maggiore rispetto a quelli che sono mancati al centrodestra, sono da rintracciare nel Movimento di Grillo.
A maggior ragione allora, è doveroso sostenere ancora e con più decisione la strategia di confronto con i grillini proposta da Bersani e, soprattutto, rifiutare recisamente quella enorme foglia di fico, buona ad assecondare non l'urgenza che il momento impone ma la paura di tornare in Parlamento con molti meno seggi e molto meno potere contrattuale, chiamata governissimo. Ricordo agli smemorati, si veda alla voce Franceschini, che Berlusconi non fa mai niente per niente e che di sicuro non ha mai mostrato di possedere quel senso di responsabilità e quel rispetto delle istituzioni che finge di avere in questo frangente. Questi repentini rigurgiti di resipiscenza sono poi significativamente alternati dai grandi successi di sempre, dalla magistratura politicizzata al terrore rosso, come successo non più tardi di sabato a Bari, regolarmente ben al di sotto della soglia di decenza minima per vivere in un contesto sociale, soglia che pure abbiamo giocoforza abbassato in maniera drastica in questi anni.
Come al solito, il dialogo è la soluzione. Ma con chi si è fatto carico dell'istanza di rinnovamento e ne ha fatto la propria – pur demagogica – bandiera. Perseverare in questo tentativo è l'unica via per scavare un solco entro il quale seminare alcuni contenuti. Dall'occasione di un confronto serio e non obliterato a priori da una gestione padronale e autoritaria del partito potrebbero trarre beneficio entrambi gli interlocutori: da una parte il Pd imboccherebbe la strada migliore, accogliendo e discutendo senza paraocchi alcune questioni pressanti, soprattutto di moralità, e rendendo finalmente operative quelle proposte di cambiamento da molto tempo presenti nel partito ma mai assunte e sposate pienamente per paura di abbandonare un modo di fare politica superato; dall'altra parte il M5S vedrebbe valorizzata la propria parte democratica e costruttiva, fagocitata finora dal dispotismo della diade al comando, e, a contatto con l'unica forza realmente democratica rimasta in questo Paese, scoprirebbe che il confronto non è automaticamente un inciucio e che la dialettica, interna ed esterna, non è un segno di debolezza ma una dimostrazione di intelligenza. Resterebbe così ai margini quella fetta ingombrante del Movimento catapultata in Parlamento per alzare muri e fare barricate, ergendosi a portavoce della democrazia diretta, che non è possibile ora e che non era possibile neanche nell'Atene di Pericle, e facendosi interprete di quella politica al ribasso, già ben nota a Berlusconi e al Berlusconismo, così minacciosa per la sopravvivenza democratica del nostro Paese.
Al netto degli interessi privati ed extra-politici dei capi del Movimento, questa è un'occasione di crescita diversa ma comune. Non da rigettare nel nome degli ultimi vent'anni ma da cogliere perché i prossimi venti siano un po' meno peggio di quelli passati.

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