giovedì 17 luglio 2008

Buon Compleanno

Domani,18 luglio,è il compleanno di Don Andrea Gallo. 80 anni!! Auguroni!
Certamente non gli arriverà il nostro messaggio di auguri, ma sono d'obbligo.
Perchè è un prete con le palle, è un prete che mi fa sperare che anche nella chiesa ci sia gente capace di andare contro corrente e non abbassare la testa di fronte ai diktat del vaticano.
Per parlare di lui ho scelto di riportare un'intervista rilasciata al Secolo XIX l'8 luglio scorso...


Il 18 luglio don Andrea Gallo, fondatore e anima della Comunità San Benedetto, compirà ottant’anni. E le preoccupazioni del cardinale Canestri ora fanno sorridere: il prete di strada è ancora al suo posto, così come don Federico Rebora, l’anima spirituale e nascosta della Comunità.

"Dalla Chiesa mi voleva arrestare".


E pensare che il cardinale Canestri, vent’anni fa, lo consigliò bonariamente: «Tu e il parroco ormai siete avanti con gli anni, mi disse, se mancate voi chissà cosa succede a San Benedetto, dovreste lasciare spazio a qualcun altro. E io: eminenza, ma qui dentro ci sono un presidente, un consiglio direttivo, tanti responsabili laici. Don Federico ed io non abbiamo nemmeno la firma in banca...».

Gli acciacchi dell’età si fanno un po’ sentire, ma la mente è lucidissima.

Don Gallo racconta, risponde alle domande senza dimenticare un particolare. Ricorda di quella volta che, giura, il generale Dalla Chiesa voleva arrestarlo per complicità con i terroristi della XXII Ottobre e lo aveva salvato solo l’intercessione di Siri. O quell’altra che un anarchico si andò a sfogare con lui: «Era dispiaciuto per non aver potuto partecipare a un attentato»...
Ma prima di iniziare il colloquio, svegliandosi nelle prime ore del pomeriggio completamente digiuno (dopo una interminabile notte di lavoro, incontri e lettura) don Gallo va in chiesa. E prega, faccia a faccia al Crocifisso. Con la stessa compostezza con cui ascolta ragazzi sbandati per la droga, lucciole in cerca di una via d’uscita dal racket, intellettuali e giornalisti.

Don Gallo, di lei si dicono tante cose. La più comune è che fa un buon lavoro, peccato che sia un prete...
«Io sono prima di tutto un sacerdote, sempre. Ora mi si adatta anche il termine “presbitero”, che significa anziano».
Si dice anche: prete ribelle.
«Non alla Chiesa, a volte ribelle alle ingiustizie, d’istinto, senza calcoli. Il cardinale Bagnasco, quando è venuto in visita, mangiando con me il bollito me l’ha detto: a volte, la lingua bisogna saperla anche mordere».
Lei da quel giorno se la morde?
«Quando l’ho fatto non me ne sono mai pentito, il cardinale aveva ragione. Ma come diceva Govi: a volte ti prende uno sciuppun de futta...».
In qualche modo, lei è certamente un’icona della città di Genova, ed è un’icona col sigaro in bocca. A ottant’anni, fuma ancora?
«Sempre, soprattutto quando sono solo, perché il toscano mi aiuta a meditare e pregare. Ho iniziato perché lo fumava uno zio, fratello di mamma. Ma finché sono stato nei salesiani, dal 1948 come novizio fino al ‘64, non mi è stato possibile fumare. Così, quando ho lasciato l’ordine di don Bosco per entrare nella chiesa diocesana genovese come sacerdote, per prima cosa ho acceso un sigaro».
Il sigaro è il simbolo della Cuba comunista...
«Posso avere simpatia per i cubani, il cardinale Tarcisio Bertone, tornando da Cuba e visitando la nostra comunità, me ne ha portato uno in dono. L’ho messo da parte come un caro ricordo, ma non l’ho mai fumato. Se lo facessi, sarebbe come tradire i miei toscani, quelli che per me sono gli unici sigari».
Però l’ha tenuto, quel sigaro. In ricordo del cardinale che è diventato Segretario di Stato Vaticano?
«Soprattutto in ricordo di Fidel Castro, il cardinale mi ha detto che gli era stato dato da lui personalmente. Però anche Bertone ha tutta la mia stima, io rispetto i miei superiori e sono pronto a ascoltare le loro correzioni».
Lei sa che, con il suo modo di fare anticonvenzionale, piace talvolta più ai laici non credenti che ai cattolici?
«Siri una volta, parlando con il sindaco Cerofolini, gli disse: quel don Gallo con i giovani è come il cacio sui maccheroni. Fulvio me lo raccontò solo a distanza di anni, dopo la morte del cardinale, ma era una indicazione pastorale, bisogna saper parlare a tutti. E poi io credo nei segni. Lo sa chi mi battezzò?»
Il suo parroco?
«No, un laico dichiaratamente massone e non credente, il professor Ugo Erede, che in Liguria ha fatto scuola ai grandi medici. Il mio è stato un parto difficilissimo, chiamarono quel luminare come ultima speranza quando sembrava che né mia madre né io dovessimo farcela. Mi tirò fuori col forcipe e, vedendo un Crocifisso in stanza, capì che i miei erano cattolici e consigliò di battezzarmi subito. Visto che un prete non c’era, mi battezzò lui».
Per molti che vivono fuori dalla Liguria, la chiesa genovese è fatta da due nomi contrapposti: don Gallo e don Gianni Baget Bozzo, la sinistra e la destra. Amici o nemici?
«Ai tempi della guerra partigiana, avevo sedici anni, io e Baget eravamo nella stessa brigata cattolica comandata da mio fratello Dino. Poi Gianni ha fatto delle scelte: ha fondato un gruppo politico che si chiamava “Ordine civile”, è entrato in consiglio comunale, poi nel giugno del 1960 si è schierato apertamente con Tambroni. Quando è diventato sacerdote, non più giovanissimo, mi sono un po’ stupito. E poi è stato socialista e ora è azzurro. Abbiamo percorso strade diverse, non ci sentiamo mai. Però l’ultima volta che ci siamo incontrati, ci siamo abbracciati».
Lei è comunista?
«No. Ma la scomunica ai comunisti all’indomani della guerra è stata male interpretata e male applicata. Il testo latino diceva che erano colpiti quelli che abbracciavano nella sua piena sostanza il materialismo ateo. Invece tanti padri di famiglia, in quei giorni, si sentivano in colpa per aver votato Pci».
Però lei è considerato da sempre vicino alla sinistra. E qui, nella sua comunità, ha accolto anche brigatisti in regime di semilibertà...
«Questa comunità è aperta a tutti, da sempre. Quando nel maggio del 1979, il generale Dalla Chiesa ordinò una maxi operazione negli ambienti della sinistra di Genova, disponendo perquisizioni, fermi, controlli e una ventina di arresti a persone accusate di “fiancheggiamento” delle Brigate Rosse, dopo l’uccisione di Guido Rossa, io so per certo che ero tra quelli nel mirino. Mi sono state dedicate cinque pagine della relazione parlamentare della Prima Commissione politica sul terrorismo, la mia personale convinzione è che in quell’occasione sia stato Siri ad opporsi al mio arresto: per poter incarcerare un sacerdote, infatti, doveva essere necessariamente avvertito prima il suo arcivescovo».
Non ha mai temuto di essere strumentalizzato, usato, dagli anni del brigatismo all’avventura del G8?
«Ai tempi dell’offensiva delle Brigate Rosse, a San Benedetto, avevamo aperto un vero “deposito bagagli” per aiutare chi non aveva una casa, e le Br avrebbero potuto benissimo usarlo per nascondere armi e esplosivo, nessuno avrebbe controllato. Ma non lo hanno fatto. Una volta, invece, venne a sfogarsi da me un giovane: dietro alla stazione di Principe erano in sosta alcuni pullman spagnoli, il gruppo di autonomi al quale apparteneva aveva deciso di lanciare delle molotov a scopo dimostrativo: perché erano gli anni di Franco, la Spagna era un simbolo della destra. Quel giovane era disperato, piangeva».
Era pentito per aver partecipato a un attentato?
«No, era disperato perché avevano estratto a sorte chi avrebbe lanciato le bottiglie incendiarie e lui non era stato scelto. Non so perché venne da me, ma certo fu l’occasione per aprire un dialogo».
Lei, con la sua scelta di una comunità aperta, riceveva le confidenze di molti, poteva fare breccia anche nella coscienza dei brigatisti...
«Un episodio che mi colpì fu quello della morte dell’avvocato Edoardo Arnaldi, sospettato di contiguità con le Br. Quando iniziò una perquisizione nel suo studio, mise sul tavolo tre pistole regolarmente denunciate, ma mentre gli uomini delle forze dell’ordine stavano eseguendo i controlli, si sentì uno sparo. Un’inchiesta accertò che era stato un suicidio. Lui era ateo, ma i suoi familiari mi fecero sapere che l’avvocato Arnaldi aveva detto una volta: se al mio funerale ci sarà un prete, voglio che sia don Gallo...».(fonte il Secolo XIX, 8 luglio 2008)

Dunque di nuovo buon compleanno Don Andrea!!!

Se volete saperne di più:
Don Andrea su wiki ita
Comunità di San Benedetto al porto

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bellissimo post!
Dovrebbero esserci più preti come lui, e lo dice una credente.
Complimenti ed auguri a Don Gallo!!!