mercoledì 26 giugno 2013

Uni, trini, troni



Sarà la seconda, sarà la terza, sarà ancora la prima. In ogni caso, la nostra Repubblica tanto bene non sta. È notizia di ieri, ma non fa granché notizia, l'apprendistato di Marina Berlusconi: studia per succedere al padre, che, come sappiamo, si trova, come dire?, impegnato su più fronti e potrebbe avere qualche illegittimo impedimento nei mesi a venire. Una successione dinastica in piena regola.
Vedete, ciò che mi colpisce non è tanto il fatto in sé, cioè che il nostro Redentore voglia compiere questo passaggio di consegne. In fondo la dialettica Padre/Figlio e Padre/Figlia è solo la riproposizione in salsa rosa di altri evangelici rapporti. Lodevole. Che non si dica che è maschilista. Lui alle donne ha sempre pensato. Ciò che davvero mi colpisce è l'immagine che lui e i suoi hanno dell'elettorato italiano: insomma, se si procede con questa operazione si dà per scontato che un passaggio di consegne di tipo dinastico possa comunque trovare una buona fetta di approvazione tra i cittadini del bel paese. Il consenso, così interpretato, è estensivo, dal padre alla figlia, e non più semplicemente personalistico. Una dottrina eschilea al contrario: le gesta e le imprese dei padri ricadono sui figli e sul ghenos. Niente male.
Un dio collerico e vendicativo, più del Dio veterotestamentario, alberga nelle fila dei rivoluzionari nostrani. Paradossale e rivelatrice, in tal senso, la notizia del veto posto dal Grillo berciante alla consultazione, rigorosamente virtuale (in tutti i sensi), in merito all'offerta di Marino (ohibò, kasta!) rivolta ai Cinque Stelle romani di far parte attivamente della giunta comunale. Una mossa, quella del neosindaco di Roma, che, per inciso, ha tanto da dire ai dirigenti nazionali del Pd, a coloro che hanno individuato nell'ottusità, nell'opportunismo e nella malafede del comico crinito i migliori argomenti per fare ciò che da sempre progettano di fare. Tu chiamala se vuoi complementarità.
Ciò non toglie nulla ovviamente alla mostruosità di un modello di (non) partito, nel quale una democrazia diretta inattuabile nei fatti e nella storia assurge a modello di organizzazione interna ideale ma, al contempo, il dispotismo più becero e totalizzante viene praticato con la disinvoltura di chi beve un bicchier d'acqua. La questione è solo capire quando il nostro alter-Silvius farà frequentare al nipote il corso intensivo di “assolutismo ed epurazione” presso l'università telematica Casaleggio & Travaglio.
Di certo non si ride dall'altra parte, se è vero che l'unico partito ormai rimasto in Italia è troppo impegnato a dire di essere l'unico partito ormai rimasto in Italia. Nel frattempo però, mentre si stigmatizza giustamente il personalismo degli altri schieramenti, sfugge il dettaglio che il Pd ha sostituito il personalismo con i personalismi. Che, se non è peggio, di certo è una complicazione poco funzionale. Correnti in cui i riposizionamenti funzionali all'autoconservazione e alla rendite personali sono la regola, la vivacità di pensiero e la dialettica formativa sono annullate, le critiche e il dissenso sono tenuti a bada dallo spettro del sempre più abusato, travisato e obsoleto principio del centralismo democratico. Alla fine, prima o poi, si apriranno le danze del congresso. E sarà il consueto florilegio di brutture, giochini di potere grandi e piccoli e meccanismi cooptativi ingiustificabili. Sarà il trionfo dei rottamatori a braccetto con i rottamandi e i rottamati. Il guaio è che da lì, dal congresso, passano le sorti del centrosinistra italiano e del Paese intero. Una responsabilità che davvero faccio fatica a lasciare a questa nostra élite intellettuale.

Il futuro è dietro l'angolo. Non è plurale, non è democratico e non cognitivo, nel senso barchiano del termine. Se qualcuno, magari non trino, vuol cambiarlo sul serio batta un colpo.

Nessun commento: