Diciamolo, per una volta,
senza paura: il compito che abbiamo segnato sul diario rientrando da
“Viva la libertà” è quello di rifondare la sinistra italiana.
Ce lo siamo segnato a penna, con un inchiostro indelebile. E lo
abbiamo fatto tutti. Non per un senso del dovere generalizzato ma
perché per riuscire nell'impresa bisogna impegnarsi insieme, senza
affidarsi al solista risolutore di turno. Occorre costruire un
progetto, guardando al futuro attraverso il passato.
Da Reggio riportiamo
indietro questo appunto sul diario e un modello più preciso in
testa. Abbiamo visto che si può parlare di politica, discutere,
coinvolgere le persone, affrontare senza paternalismo questioni non
immediate, convergere e divergere senza scadere nella
contrapposizione strumentale. Abbiamo visto la passione, abbiamo
visto uno spazio affollato, come poche volte negli ultimi tempi,
bonariamente chiassoso, brulicante di vita ed entusiasmo.
Per poche ore abbiamo
avuto la sensazione di poter cambiare il mondo. Prima di tornare alle
cacce al piccione e alle finte necessità illuminanti. Abbiamo
percepito che c'è in giro una passione per la politica che la
politica stessa e il Pd hanno contribuito a prostrare. Abbiamo
pronunciato parole ormai quasi impronunciabili, come lotta alla
corruzione, rilancio dell'economia verde, reddito minimo, etica
pubblica, rifiuti zero. Abbiamo detto forte e chiaro che il futuro
non è a destra ma a sinistra, confutando l'inveterata e comoda
certezza che senza diventare berlusconiani non si vince. Abbiamo
ribadito che l'appoggio a questo governo non è un dato scontato e
immutabile in aeternum e che non possiamo soffrire costantemente di
schizofrenia. Abbiamo restituito ai nostri elettori, ai nostri
concittadini, la dignità e l'onere di essere parte in causa dei
processi decisionali. Abbiamo stabilito che alle loro porte non si
può andare il giorno prima delle elezioni, ma anche e soprattutto il
giorno dopo. Abbiamo ricordato a tutti che la politica è fatta di
partiti, che, per definizione, hanno visioni di parte e che
l'etichetta di centro si addice molto a chi ha tutto da guadagnare
nel non prendere posizione. Abbiamo chiamato in causa Macbeth e il
fantasma di Banquo, immedesimandoci con l'uno e con l'altro e
auspicando di liberarci dai sensi di colpa, subito. Abbiamo
ricollocato l'entusiasmo e quella sana follia shakespeariana al loro
posto, contro il grigiore del già deciso e dell'indecidibile.
Non abbiamo avuto paura
della nostra ombra, non ci siamo vergognati di noi stessi, non ci
siamo assunti una responsabilità utile solo a chi non ha bisogno di
cambiare, non abbiamo stabilito in partenza quali parole pronunciare,
non abbiamo dovuto chiedere scusa all'apparato, anche se ci chiederà
di farlo.
Se il Pd fosse come
quello visto a Reggio, nessuno dovrebbe liberarci dall'impasse di
votare una pitonessa di polistirolo come vicepresidente della Camera.
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