mercoledì 10 luglio 2013

Cosa ci portiamo da Reggio


Diciamolo, per una volta, senza paura: il compito che abbiamo segnato sul diario rientrando da “Viva la libertà” è quello di rifondare la sinistra italiana. Ce lo siamo segnato a penna, con un inchiostro indelebile. E lo abbiamo fatto tutti. Non per un senso del dovere generalizzato ma perché per riuscire nell'impresa bisogna impegnarsi insieme, senza affidarsi al solista risolutore di turno. Occorre costruire un progetto, guardando al futuro attraverso il passato.
Da Reggio riportiamo indietro questo appunto sul diario e un modello più preciso in testa. Abbiamo visto che si può parlare di politica, discutere, coinvolgere le persone, affrontare senza paternalismo questioni non immediate, convergere e divergere senza scadere nella contrapposizione strumentale. Abbiamo visto la passione, abbiamo visto uno spazio affollato, come poche volte negli ultimi tempi, bonariamente chiassoso, brulicante di vita ed entusiasmo.
Per poche ore abbiamo avuto la sensazione di poter cambiare il mondo. Prima di tornare alle cacce al piccione e alle finte necessità illuminanti. Abbiamo percepito che c'è in giro una passione per la politica che la politica stessa e il Pd hanno contribuito a prostrare. Abbiamo pronunciato parole ormai quasi impronunciabili, come lotta alla corruzione, rilancio dell'economia verde, reddito minimo, etica pubblica, rifiuti zero. Abbiamo detto forte e chiaro che il futuro non è a destra ma a sinistra, confutando l'inveterata e comoda certezza che senza diventare berlusconiani non si vince. Abbiamo ribadito che l'appoggio a questo governo non è un dato scontato e immutabile in aeternum e che non possiamo soffrire costantemente di schizofrenia. Abbiamo restituito ai nostri elettori, ai nostri concittadini, la dignità e l'onere di essere parte in causa dei processi decisionali. Abbiamo stabilito che alle loro porte non si può andare il giorno prima delle elezioni, ma anche e soprattutto il giorno dopo. Abbiamo ricordato a tutti che la politica è fatta di partiti, che, per definizione, hanno visioni di parte e che l'etichetta di centro si addice molto a chi ha tutto da guadagnare nel non prendere posizione. Abbiamo chiamato in causa Macbeth e il fantasma di Banquo, immedesimandoci con l'uno e con l'altro e auspicando di liberarci dai sensi di colpa, subito. Abbiamo ricollocato l'entusiasmo e quella sana follia shakespeariana al loro posto, contro il grigiore del già deciso e dell'indecidibile.
Non abbiamo avuto paura della nostra ombra, non ci siamo vergognati di noi stessi, non ci siamo assunti una responsabilità utile solo a chi non ha bisogno di cambiare, non abbiamo stabilito in partenza quali parole pronunciare, non abbiamo dovuto chiedere scusa all'apparato, anche se ci chiederà di farlo.

Se il Pd fosse come quello visto a Reggio, nessuno dovrebbe liberarci dall'impasse di votare una pitonessa di polistirolo come vicepresidente della Camera.

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