lunedì 17 giugno 2013

La piazza della discordia


Ogni tanto bisognerebbe mettere in ordine i pensieri e riflettere. E con tutto il chiasso che si fa non è facile. Su piazza Verdi si sono spese troppe parole. A volte sono parole, altre volte, più spesso, grida scomposte.
La questione, secondo il mio modesto parere, non gira intorno agli archi, pure discutibili, né intorno alla pedonalizzazione, sacrosanta, né probabilmente intorno alla manutenzione. La questione è una questione di fiducia. Una fiducia che si è persa non a Spezia, né a Rovigo, né a Eboli, ma in Italia, in generale. Le istituzioni molto spesso non l'hanno meritata, bisogna pure ammetterlo. E quando le cose stanno così, poi si salta con un balzo alle conclusioni più complottiste e meno argomentative, ma tant'è. Nulla si crea dal nulla. E talvolta ne paga le conseguenze chi non lo meriterebbe.
Sul progetto della nostra piazza l'errore è a monte e ha a che fare con un concetto che va molto di moda ultimamente, cioè la partecipazione. Si potevano ascoltare i comitati e invitarli a formulare proposte realizzabili e, magari, migliori di quella che è stata scelta? Si poteva evitare di arrivare al punto di incontrare i cittadini a una settimana dall'inizio dei lavori per presentare una decisione già presa da molto tempo? Si poteva avviare un dibattito vivo e concreto prima di assistere a questa contrapposizione sterile e insensata? La risposta è naturalmente affermativa. Se non lo si è fatto è per una vecchia prassi paternalistica, che non funziona più, ammesso che abbia mai funzionato, e che rivendica a delle élites uno status di superiorità morale e, direi, ontologica smentito dai fatti. Questo ruolo, semmai, ce l'ha la politica, quella inclusiva, quella che informa attraverso la partecipazione alle decisioni, quella che responsabilizza e che chiama tutti a farsi carico delle proprie azioni, oltre che ad assumere un ruolo attivo nella risoluzione dei problemi.

Tutto ciò non giustifica in alcun modo le scempiaggini che si leggono e si sentono in queste settimane sui social network e sui giornali. Succede allora, come succede per le cose di tendenza, che si parli a sproposito. La partecipazione diventa mera caccia all'untore, negazione del diritto di parola, elaborazione di teorie stravaganti, pretesa di parlare nel nome di tutta la città, diventa addirittura assunzione a vertici olimpici di sapere uno storico dell'arte come Vittorio Sgarbi. Succede che si taccia di fascismo un'amministrazione, liberamente eletta un anno fa, che mette in atto quello che era nel programma elettorale. La protesta a cui assistiamo da qualche settimana a questa parte è la logica conseguenza di una prassi, ribadisco, legittima (che non significa giusta) ma non più praticabile. Abbiamo visto cosa ne discende.
La cosa più preoccupante, mi pare, è l'atteggiamento conservatore, a prescindere sospettoso del nuovo e attaccato a un'idea del passato, nella maggior parte dei casi mai esistito, con il quale si è affrontato il problema. La piazza così com'è non funziona. Non valorizza il contesto circostante, brulica di traffico e smog, ha una pavimentazione non funzionale, oltre che orrenda, e soprattutto non è una piazza ma un doppio viale buono per le doppie file. Al centro di essa campeggiano quattro pini “secolari”, che tuttavia non compaiono nelle foto storiche datate 1933, ma in compenso regalano gioie per il dissesto della pavimentazione. Poi piovono cause al Comune ladro. Insomma fare di peggio è oggettivamente difficile, per quanto mi possa dire affettivamente legato a questo spazio urbano che comprende, tra le altre cose, il mio Liceo.
Il Comune ha vinto un bando europeo per cambiare volto alla città. In questo amplissimo progetto è finita piazza Verdi: dunque i soldi europei e, nella misura di un terzo circa, della città che verranno impiegati per essa non sono impiegabili altrove. E in caso di ritardi o tagli ci sono delle penali da pagare. Non le paga né il sindaco da solo né, figuriamoci, Sgarbi. Le paghiamo tutti noi. Certamente andava spiegato meglio.
È stato scelto il progetto di Buren perché, a detta della commissione, più di altri ha saputo combinare il lavoro dell'artista e quello dell'architetto, in un contesto urbano che da molti decenni non vede opere in questo senso, ma solo lavori di riqualificazione (a volte molto riusciti, a volte molto poco riusciti). Si può non condividere la decisione e si può certamente criticare dal punto di vista estetico il lavoro; ma per lo meno bisogna conoscere gli intenti che hanno motivato la scelta.
Molti adducono proprio i passati insuccessi tra le ragioni principali della protesta, trascurando però il fatto che per piazza del Mercato, per esempio, molti degli attuali denigratori sono responsabili della realizzazione del lavoro quanto la giunta comunale di allora. L'amministrazione si è fatta ricattare dagli oppositori, indulgendo a una partecipazione posticcia, che ha sortito un risultato certamente non memorabile.

La realtà tristissima, al di là della logica manichea, è che la città, tutta, ha perso irrimediabilmente un'altra occasione per dimostrarsi matura e affrontare la questione razionalmente, come una collettività vera, esaminando con intelligenza il progetto e senza scadere nella retorica della contrapposizione forzosa. Forse ora avremmo in mano qualcosa di meglio, o forse sapremmo comprendere e valorizzare la nuova piazza. Certamente nessuno avrebbe parlato a nome nostro senza averne diritto. In un senso o nell'altro.

3 commenti:

Francesco Pelillo ha detto...

L'errore di fondo sta proprio nell'aver identificato in una sola persona l'architetto e l'artista. Non si può pretendere di tornare al genio rinascimentale nel contesto di mediocrità culturale sia degli amministratori che dei sedicenti artisti dei nostri tempi. Bisognava affidare a un architetto la ristrutturazione della piazza in vista della creazione di uno spazio dove le opere di veri artisti avrebbero dovuto trovare, a rotazione, una collocazione temporanea che, oltrea coinvolgere l'attenzione dei cittadini, sarebbe stata anche un ottimo pretesto di promozione turistica. Quel rendereing approssimativo della futura piazza che prevede quegli archi presenti uin modo permanente è semplicemente angosciante, al massimo quegli archi si potrebbero sopportare per tre mesi come una boutade. Quanto ai pini, non capisco a cosa servano in quel contesto, stretti tra due file di automobili e che, per di più, impediscono la lettura delle belle facciate umbertine e liberty-deco, oltre che del magnifico razionalismo-littorio delle Poste. Insomma, errori di comunicazione dovuti a approssimazione professionale, che nella riunione della settimana scorsa si sono sommati all'identificazione degli amministratori del Pd locale con i traditori del Pd nazionale al governo con Bunga Bunga.

Enrica Salvatori ha detto...

Caro Damiano. Ho letto il tuo post e mi devo complimentare per il buon senso (e il buon italiano) che esprimi. Tuttavia devo dire che non mi hai convinto. Che la piazza sia da riqualificare ok, ma che il comune, vista la protesta crescente, non possa trovare modi e tempi per salvare capra e cavoli non lo riesco a credere. Si può fare molto giocando tra i codicilli per riqualificare senza stravolgere e senza perdere tutti i soldi europei. Magari se ne può perdere solo una parte... La realtà è che questa politica paternalista (che tu discegni benissimo) non sopporta (se no non sarebbe paternalista) la politica partecipata e questo è il dato che mi convince alla protesta. Non tanto e non solo per gli archi orrendi e costosi di Buren, ma proprio perché non accetto questo tipo di politica. L'ho vista all'opera quando sono stata consigliere: si nutre del disinteresse, vive della non partecipazione, anzi fa di TUTTO per alimentarla. Dici largamente eletto: vero. Così si può dire anche di Berlusconi no? La prevalenza della maggioranza non significa prevalenza del giusto: significa solo che il giusto, per emergere, deve cercare sempre maggior consenso. Da lì, di nuovo, il mio no.
PS: che nelle foto del 1933 i pini non ci siano non è strano: sono stati messi pare nel 1937.

Damiano ha detto...

Cara professoressa, l'intento del mio intervento non era certo quello di convincere qualcuno: ho solo espresso il mio parere. Mi ha parlato molto bene delle ragioni per cui è contraria e la sua opinione è assolutamente sensata e anche condivisibile in molti punti.
Sulla questione della partecipazione, non ho nulla da aggiungere: diciamo la stessa cosa.
Sui codicilli in tutta onestà non so esprimermi perché non ho le competenze per poter dire fino a che punto si possa giocare sui finanziamenti ma credo che l'intento con il quale è stato scelto il progetto vincente imponga un prendere o lasciare in blocco. Quello che ho voluto scrivere è che si può sicuramente criticare questo intento ma bisogna per lo meno conoscerlo. Ma nel fronte del no vedo tanta disinformazione (non è ovviamente il suo caso, beninteso).
Infine, un'elezione a larga maggioranza non consente agli eletti di fare quello che vogliono né garantisce per loro una sorta di positività etica su ogni loro scelta posteriore all'elezione. Non l'ho mai pensato e mai lo penserò; e questo vale per Berlusconi, per Federici, per Obama e per tutti quanti. Quello che intendevo dire è che questo progetto non è una novità post-elettorale: molti, tra cui qualche eletto nelle fila della maggioranza, hanno scelto di cavalcare la protesta, incuranti della coerenza e di ciò che hanno fatto e firmato negli anni precedenti. Il fronte del no ha molte più buone ragioni (perché la politica paternalistica di cui parla anche lei è una ragione più che buona) di quanto i personaggi che lo rappresentano riescano a dimostrare tirando in ballo i pini, la pavimentazione, o i canali d'acqua sotterranei.