venerdì 13 gennaio 2012

Midnight with Woody ****

Sentendo e leggendo pareri entusiastici sull’ultimo film di Woody Allen viene da pensare che cosa ci sia da stupirsi quando un genio indiscusso del cinema offre un prodotto di altissima qualità. Sarà che gli ultimi lavori non erano all’altezza di essere definiti capolavori (senza dimenticare però che Allen è molto prolifico e con una media di un film all’anno è difficile essere sempre al di sopra delle aspettative), sarà che Parigi a mezzanotte è davvero suggestiva, ma non c’è storia, ci troviamo davvero di fronte a un film che senza remore possiamo definire geniale.
Avevo letto la trama prima di andare al cinema, ma, a dire la verità, non ero convinta al cento per cento. Non capivo come la storia avrebbe potuto svilupparsi, però ho avuto fiducia in uno dei miei registi preferiti in assoluto e non sono stata tradita.
Dopo una carrellata di immagini della capitale francese, che mettono già voglia di prendere il primo volo e precipitarsi lì, entriamo velocemente nella vita di Gil (Owen Wilson), scrittore di sceneggiature hollywoodiane ma aspirante scrittore “vero”, incastrato a Parigi con la sua antipaticissima fidanzata Inez (una Rachel McAdams davvero perfetta in questa parte) e gli ancor più insopportabili, repubblicani e snob genitori di lei (da notare Kurt Fuller, recentemente visto nella sfortunata sit-com Better with you). Quando poi si aggiungono al gruppo due amici del college di Inez - Paul è definito continuamente pedante, e a ragione: si intende di vini, arte, letteratura, danza, un po’ tutto insomma, dando idea dell’intellettualoide tutto fumo e niente arrosto - Gil sente di aver bisogno di prendere una boccata d’aria. E cosa c’è di meglio di una passeggiata solitaria per le strade di Parigi? Ecco che al suonar della mezzanotte la magia che si interrompeva per Cenerentola si accende per Gil: passa un’auto d’epoca e ha inizio una notte incredibile che lo porta a conoscere Zelda e Scott Fitzgerald, Picasso, Gertrude Stein, Dalì (uno spassosissimo Adrien Brody), Hemingway e altri personaggi della Parigi degli anni ’20. La storia si ripete per varie sere e non è certo un caso che Inez non riesca a entrare nel mondo di Gil, a vivere la sua stessa avventura. Perché Gil è uno scrittore, romantico anche se un po’ nervrotico (e come no!), l’unico a cogliere il senso del vivere nel proprio presente, anche a differenza di Adriana, la bellissima ragazza (Marion Cotillard) che incontra a casa della Stein e di cui si innamora.
Woody Allen ci conduce in quella che è una vera e propria magia, con meno psicanalisti del solito e con l’ironia di sempre. In più, piccoli ritratti dei grandi del passato - Gaugin marpione è una chicca degli ultimi minuti - davvero ben riusciti, senza neanche correre il rischio dello stereotipo trito e ritrito alla Mangia, prega, ama (e lo dico in polemica con chi ha imputato al film questo difetto), un finale prevedibile ma neanche troppo e uno scenario che, se non fosse per le onnipresenti macchine, definirei idilliaco.
Certo, non si potrà più leggere Hemingway senza immaginarsi Corey Stoll che strepita con un bicchiere di vino in mano, né sentire il nome Dalì senza pensare a un rinoceronte, ma ne vale la pena. E non solo per tutto quello che ho detto finora, ma perché Allen ci pone una domanda su cui riflettere: il passato è affascinante, è vero, ma non è che invece ci attrae con l’idea del “sarei dovuto nascere in un altro tempo” solo perché è il presente a renderci insoddisfatti? Non è certo un problema da poco.

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