È paradossale sentire
appelli al voto utile da parte di chi ha avallato lo slogan più
antiestetico, diseducativo e patetico che conosca. Mi riferisco
naturalmente alla campagna elettorale per le elezioni del febbraio
2013, culminata con l'argomento che meglio rappresenta appieno il
senso della povertà culturale della proposta politica: votateci
perché gli altri sono peggio.
È paradossale, dicevo,
sentire questi appelli. Un po' perché mi pare che la cosa assuma i
tratti del patologico: ma, si sa, noi di sinistra, e in particolare
noi del Pd, siamo straordinariamente capaci di interrogarci per
decadi sui nostri sbagli, ripetendoli puntualmente e periodicamente.
Un po' perché dovremmo finirla di propinare alle persone ricette
meno che mediocri, facendo finta che non se ne possano trovare di
migliori. E un po' perché chiamare di nuovo a raccolta le truppe
contro un nemico comune, facendo finta che anche Civati giochi nella
sua squadra, è, prima ancora che una scorrettezza, una mossa triste.
Da basso impero. Di un impero basso da sempre.
Eh sì perché poi,
stringi stringi, il problema è la credibilità. E se per anni hai
predicato tutto il contrario di ciò che hai fatto, finisce che gli
appelli al voto utile suonino come appelli al voto inutile,
esattamente come i reiterati richiami a comportamenti responsabili
paiono sempre più incitamenti a comportamenti scapestrati e
criminali. Così l'impressione è che non resti altro che invocare un
voto di sinistra, buono a sedare gli animi di quegli iscritti
nostalgici del Pci, ma stancamente, come la ritualità consueta di
chi ha vissuto di questi espedienti e continuerà a farlo, sfruttando
le illusioni di una militanza troppo generosa, disposta a rinnovare
l'utopia della svolta a sinistra con la dirigenza che nella storia
della sinistra italiana ha più di tutte guardato (e non solo
guardato) a destra. Evidentemente da queste parti strabismo e
torcicollo non sono un problema.
Questa è la sinistra che
ha problemi a convivere con Renzi, ma non ne ha neanche un po' a
governare con Alfano, Formigoni e Giovanardi, non solo facendo finta
di poter risolvere con costoro questioni quali, tanto per dire, la
corruzione, la giustizia e i diritti civili, ma guardando a loro come
novelli Pericle a cui consegnare il timone di una destra europeista,
finalmente liberata da Berlusconi. Questa è la sinistra che,
all'improvviso, dopo anni di vanagloriosa ostentazione di diversità
rispetto agli altri, scopre che le primarie non sono più opportune
perché, motivazione ufficiale, riducono a pura mercificazione
elettorale e leaderistica ciò che dovrebbe essere un vero scontro
sui contenuti. Forse il problema è un altro ed è che lo strumento
delle primarie è stato utilizzato a uso e consumo di sempre più
floridi e numerosi capibastone, capaci di premiare la fedeltà
acritica e promuovere utili idioti. Ma, francamente, se un
ricercatore scoprisse il vaccino contro l'Aids e poi usasse tutto il
prototipo per farsi il bidet, dareste la colpa al vaccino o al
ricercatore? E forse, perdonatemi se tocco un tasto dolente, per la
prima volta il candidato più accreditato (e sponsorizzato) per la
vittoria non è quello designato. Le primarie sono, per così dire,
sfuggite di mano: vanno bene se acclamano con gioia e tripudio colui
che la dirigenza ha indicato come il migliore e non se, al contrario,
sulla base dei sondaggi e di abili trasformismi, portano da un'altra
parte una buona fetta della dirigenza stessa. Forse il problema è a
monte.
Questa è la sinistra che
si appella, ancora, al voto utile. E, ancora, si atteggia a unica
depositaria della verità storica, in quanto erede di una tradizione
che le attribuisce i crismi dell'auctoritas. Una tradizione
che, non gli altri, ma questa dirigenza ha gettato al vento,
prendendo da essa solo ciò che era rigorosamente da scartare, come
la disciplina di partito (senza un partito), i meccanismi cooptativi
e l'élitarismo da egemonia culturale (senza l'egemonia culturale).
Domenica prossima andrò
a votare Civati, anche contro questa logica arrogante e meschina. Ma
soprattutto perché ritengo che il voto sia sempre utile quando nasce
da una riflessione attenta e da un'analisi critica della realtà che
ci circonda. E mi sentirò straordinariamente utile, perché
contribuirò, nel mio piccolo, alla costruzione di un partito diverso
da quello che abbiamo visto finora, un partito orientato davvero a
sinistra, senza incrostazioni di potere, senza timidezza, senza
ambiguità, senza fraintendimenti, senza paura di scontentare
qualcuno (che non ci voterà mai, tra l'altro), senza subalternità.
Un partito che finalmente affronti a muso duro la crisi democratica
che ci investe in Italia e in Europa e che sappia trovare nuove
strade per la rappresentanza, perché non esiste male peggiore per
una democrazia che abbandonare altissime percentuali di elettori,
lasciandoli in preda alla disperazione sociale e alla mancanza di
punti di riferimento politici. E voterò Civati perché credo che il
Civoti non sia solo un gioco di parole, ma una linea d'azione ben
precisa, che fa della collettività e della mobilitazione cognitiva
il proprio credo. Voterò Civati perché temi come l'ambiente, la
cultura, il lavoro, l'istruzione e i diritti civili non possono
essere affrontati né con superficialità né con l'ipocrisia di chi
incarna la continuità con una classe dirigente disastrosa, che ha
abbandonato gli elettori, per rinchiudersi nelle strategie di
palazzo, tra le intercapedini della sussistenza e della rendita di
posizione, impermeabile ai cambiamenti e al rinnovamento della
società. Incapace di fare ciò un politico dovrebbe saper fare
meglio: ascoltare.
Domenica andrò a votare
Civati perché il ruolo della sinistra è quello di cambiare lo
status quo e i rapporti di
forza. Sarà un voto utile, perché so dove andrà a finire e cosa ne
faremo. Siamo all'inizio di una lunga storia. Non finisce l'8. Inizia
il 9.
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