martedì 6 agosto 2013

Le nostre condanne

Vent'anni da un video all'altro. Vent'anni per tornare al simbolo di Forza Italia, mentre l'Italia boccheggia travolta dalla crisi economica, dalla pochezza culturale, dal malaffare, dal malcostume, dall'incoraggiamento all'illegalità e dal dileggio costante delle istituzioni. Berlusconi appare ringiovanito nell'aspetto ma appesantito nella fedina penale: la sentenza di condanna a quattro anni di reclusione passata in giudicato è un medaglietta al disonore che neanche i cavillatori professionisti alla sua corte sono riusciti a evitargli. A coronare l'evento si sprecano i titoli trionfalistici sui giornali stranieri, che prima e meglio di noi hanno compreso le qualità del nostro ex (ex?) Presidente del consiglio ma troppe volte l'hanno dato per morto, sbagliandosi di grosso.
La sentenza della Cassazione sancisce definitivamente l'ignominia di uno Stato il cui primo ministro per un totale di dieci lunghi anni, nonché attuale rappresentante al Senato, è un frodatore conclamato. Come se non bastasse, a ciò si aggiunge la tenuta dell'attuale governo, imposto, a detta dei sostenitori, dall'urgenza della crisi economica e dalla necessità di tenere a bada i mercati e, a detta dei più fantasiosi teorici, dalla strategia di uscita dal berlusconismo insieme a Berlusconi, con annesse scommesse sull'evoluzione politica della destra italiana in senso europeo.
E infatti, ampiamente prevedibili, arrivano le richieste di grazia al Presidente della Repubblica, le trattative per tramutare l'affaire in un novello caso Sallusti, le minacce alla tenuta del governo e i dubbi sulla decadenza del Cavaliere. C'è persino chi, sottraendosi alla retorica della pacificazione, parla di “guerra civile”. E poi, naturalmente, l'immancabile farsa dell'aizzatore di popoli che rassicura gli alleati e, al contempo, tra un piantino e un altro, spara cannonate sulla nostra democrazia e sulla nostra costituzione, parole eversive che dovrebbero inorridire chiunque non provi disprezzo per le istituzioni.
Ma queste sono cose che sapevamo già. Le sapevamo anche prima del 25 febbraio scorso e prima della formazione di questo governo. Le sapevamo anche quando coloro che andavano sbraitando che un governo con Brunetta e Cicchitto non era un'ipotesi contemplata si sono affannati a sperticarsi in articolate argomentazioni sul senso di responsabilità e sulle grandi prospettive che una grosse koalition avrebbe aperto, relegando temi quali i diritti civili e le misure sociali e per il lavoro al cosiddetto benaltrismo. Le sappiamo a maggior ragione adesso.
Berlusconi era politicamente morto nel novembre del 2011. Il Pd l'ha resuscitato con una campagna elettorale disastrosa prima e l'ha sostanzialmente rimesso al suo posto poi, ignorando il messaggio forte e chiaro che veniva dagli elettori, i quali avevano affermato chiaramente che tutto avrebbero voluto vedere fuorché una riedizione del governo Monti senza tecnici, riversando su Grillo aspettative che lo stesso Grillo, per scelta deliberata e non solo per incapacità, non ha mai voluto soddisfare. Chi ha lavorato da sempre alla soluzione delle larghe intese è stato così compensato degli sforzi che neanche ha dovuto fare. Che fosse un'idea stupida, nella sostanza noncurante, checché se ne dica, delle sorti del Paese e puramente conservativa, era chiaro a chiunque lo volesse vedere. È una soluzione che ha fatto male: al Pd, alla credibilità già ai minimi storici della nostra classe dirigente e delle nostre istituzioni, al Paese.
La sentenza, a cui evidentemente non solo Ghedini sperava di non arrivare mai, pone un problema politico di difficile gestione: forse non basteranno neanche più le clamorose arrampicate sugli specchi di cui le nostre oligarchie intellettuali ci hanno deliziato. O forse dovremmo semplicemente rassegnarci all'idea che farci dettare l'agenda di governo da un pregiudicato sia davvero il male minore. Chissà quali preoccupazioni avranno ora all'estero: la stabilità di un governo italiano capace di rinviare qualunque decisione alle calende greche o il fatto che un frodatore del fisco faccia la parte del leone al suo interno?
Ma, come si è già detto, queste cose le sapevamo già. E la realtà è che non è più credibile chi nel Pd, ora, prova a fare la voce grossa. Non siamo pronti al voto, non siamo pronti a porre condizioni, non siamo pronti ad affrontare le sfide che il Paese ci ha chiamato ad affrontare qualche mese fa. Figurarsi se siamo in grado di dire la verità e cioè che il governo Letta è il miglior salvacondotto possibile per Berlusconi e che la sentenza lo condanna dal punto di vista giudiziario ma non da quello politico. Per quello dovevano bastare le scorse elezioni, quando sei milioni di persone hanno deciso di votare qualcos'altro o di non votare proprio. E, tanto meno, siamo pronti a proporci come un'alternativa solida e affidabile ai partiti padronali e demagogici, continuamente puntati al ribasso culturale, civile, morale. Non siamo pronti a voltare pagina perché in troppi non lo vogliono fare e perché non se ne può neppure discutere. Non siamo disposti a modificare forme di rappresentanza che nessuno sente più come soddisfacenti, né siamo disposti a rimetterci in gioco accettando la sfida della partecipazione vera, attiva e consapevole.

Eppure sono necessità stringenti; sono, queste sì, urgenze reali. L'Italia e l'Europa hanno un bisogno inderogabile di discontinuità, di cambiamento e di sinistra. Ma davvero non hanno bisogno di questo Pd.   

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