C'è un ritornello
abusato; dice che la sinistra italiana non vince perché non sa
comunicare. Quante altre elezioni si dovranno perdere prima di
prendere coscienza del fatto che il problema non è formale ma
strutturale e riguarda i contenuti? Per quanti esperti in
comunicazione, marketing, promozione si possano assumere non se ne
troverà uno in grado di elaborare una strategia vincente, nella
totale assenza di idee, proposte e progetti, anche a breve termine,
nella quale ci troviamo a destreggiarci. Le campagne elettorali
disastrose cui abbiamo dovuto assistere non sono il frutto sfortunato
di un'incapacità momentanea o di uno stato di stordimento
generalizzato, ma il prodotto di una mancanza di dialettica interna e
di elaborazione sintetica di una proposta convincente e univoca, non
soggetta ad ambiguità ed equivoci. Il tentativo di far convivere due
anime differenti e, per molti aspetti, alternative non ha dato i suoi
frutti perché non poteva darli, nella sua natura tutta politicista e
poco sincera. La rincorsa ai cosiddetti moderati ha sortito come
unico risultato tangibile lo snaturamento della sinistra, incapace
ormai di farsi interprete credibile delle necessità delle fasce
sociali più deboli e di istanze di rinnovamento vero rispetto a un
sistema economico e sociale fallimentare. In altre parole, abbiamo
lasciato a casa Marx e Gramsci, se non attraverso un uso residuale e
puntualmente distorto, e ci siamo tenuti l'apparato e i sistemi
corazzati di conservazione del potere. Per la paura di alienarci il
voto di chi avrebbe dovuto farci vincere e non ci ha mai fatto
vincere, abbiamo rinunciato alla creazione di una piattaforma di
discussione, in grado di avviare un percorso di crescita politica
inclusivo e spregiudicato, mai visto prima. Che è rimasto solo sulla
carta, nel bellissimo statuto che il Pd cita solo in prossimità di
primarie che sempre di più assomigliano a un costumino stretto
stretto, dal quale le pudenda inevitabilmente fuoriescono.
Inutile dire che non ha
funzionato nulla. Il messaggio non è mai arrivato a nessuno perché
le mille anime interne al Pd non hanno mai cercato un punto di
convergenza o valori condivisi differenti dalla mera
autoconservazione. Nessuno è mai riuscito a comprendere quale sia la
posizione del Pd sul lavoro, sui diritti civili, sul ruolo delle
forze armate, sull'etica pubblica, quali siano le proposte nel campo
delle politiche ambientali, quale sia il piano industriale ritenuto
indispensabile allo sviluppo del Paese, quale sia la forma di
rappresentanza democratica indicata, quale sia il piano economico per
uscire da una crisi, non solo economica ma culturale, che fa sentire
in tutta la sua forza lacerante il bisogno di una sinistra seria e
credibile. Il Pd e il centrosinistra non hanno saputo offrire una
visione del mondo alternativa alla logica anti-statalista, cinica e
individualista, che vede nelle regole imposte per il vivere comune un
serio ostacolo all'autoaffermazione del sé e di cui Berlusconi è il
campione.
Di questa condizione sono
il riflesso tutte le decisioni e le non decisioni prese dall'attuale
governo. Ultima, solo in ordine di tempo, quella sull'IMU, sconfitta
del Pd su tutta la linea e simbolo di una subalternità che,
francamente, non era difficile prevedere. Un prezzo che tutti noi
pagheremo, attraverso una tassa diversa e più vessatoria nei
confronti di chi meno può permetterselo e attraverso il previsto
aumento dell'IVA, per bloccare il quale, ovviamente, mancano le
coperture. Quando la negoziabilità di tutti i valori diventa
ordinaria amministrazione, può succedere anche questo.
Non sorprende allora il
linguaggio trito e acquitrinoso con il quale siamo costretti a fare i
conti tutti i giorni. Mutamenti semantici, costrutti perifrastici,
indeterminatezza lessicale sono lo specchio di una disfatta
valoriale, prima ancora che politica. La cautela morbosa e la
retorica speciosa sono le forme con le quali il Pd si manifesta e si
rapporta con il mondo e con un elettorato che è distante anni-luce e
al quale piacciono pochissimo i meccanismi abituali di sopravvivenza
del politico doc. Questi elettori non dovrebbe esplodere in
fragorose risate al sentire parole come “responsabilità”,
“libertà”, “amore”, “crisi”. A questi elettori,
potenziali, da riconquistare e da conservare, piacerebbe sentire
parole vecchie ma vive quali “uguaglianza”, “diritti”,
“progressività”, “giustizia”, “passione”,
“redistribuzione”, “servizi”, “tutela”, “welfare”,
“cultura”, “società”, “solidarietà”. A costoro
piacerebbe che queste parole, nei rari casi in cui vengono usate, non
fossero corpi morti e rispondessero a un significato.
Sono le parole che
non ti ho detto. E quando te le ho dette non dicevano niente.
2 commenti:
E quando senti dire da un politico "anziano" che "si deve recuperare il rappprto tra il partito e la gente"? Oppure che "si deve tornare a ragionare sui programmi"? Come mi prudono le mani quando succede!2
E' l'abusata tecnica "vengo da un altro pianeta". un classicone!
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