C'è tantissima ipocrisia
nell'atteggiamento di chi relega il tema dell'immigrazione a
un ruolo di rincalzo nel contesto delle cosiddette priorità del
nostro Paese, priorità peraltro, ammesso lo siano davvero, sempre
rinviate alle calende greche. Dietro alla melmosità di queste
argomentazioni si cela soltanto, neanche troppo latente, il desiderio
di chiudere la porta prima ancora di mettere la mano sulla maniglia.
È solo una questione di ostilità pregiudiziale, pigrizia di
intelletto, malafede studiata.
In realtà il fenomeno
migratorio è una componente ineludibile del mondo contemporaneo,
oltre che una costante antropologica dell'essere umano, e va
analizzato in tutti i suoi aspetti, possibilmente senza paraocchi
ideologici. In primis l'aspetto economico: gli immigrati regolarmente
residenti in Italia sono più di 5 milioni, producono il 12% del
prodotto interno lordo nazionale e contribuiscono alle casse
dell'INPS per circa 7.5 miliardi all'anno, quasi sempre non
riscuotendo il dovuto per mancanza di accordi bilaterali tra i paesi
o per assenza di requisiti in termini di anni di contributi. Per lo
più lavorano in posizioni non ambite dagli Italiani e costituiscono
un motore ineliminabile per la sopravvivenza delle nostre imprese.
Gli imprenditori stranieri sono in costante aumento e si concentrano
nel settore del commercio, della manifattura e dell'edilizia: in
molti casi danno lavoro agli stessi Italiani. Se per un giorno
soltanto tutti i lavoratori immigrati smettessero di lavorare, il
paese rimarrebbe bloccato con conseguenze inimmaginabili. Dal punto
di vista demografico l'immigrazione rappresenta una vera e propria
ancora di salvataggio, poiché va a supplire alla scarsa natalità
italiana, producendo linfa vitale e ricambio generazionale. Certo,
ciò farà storcere il naso ai puristi della razza italica, o padana,
o ariana, ma tant'è. Sul piano culturale i flussi migratori
significano nuove possibilità di mettersi in gioco, significano
confronto con l'alterità e scoperta della propria identità, prima
ancora di quella altrui. La società interculturale cui dobbiamo
andare incontro è prima di tutto una sfida rispettosa e stimolante:
non comporta alcuna perdita sul piano identitario, ma acquisizioni e
prospettive di crescita. Certo, occorre mettersi in gioco e conoscere
l'altro con un atteggiamento, guidato e coordinato dal mondo delle
istituzioni e dall'associazionismo, di reciproca curiosità e fattiva
collaborazione. Senza chiusure, senza falsi miti, senza un
solidarismo di facciata, controproducente e troppo spesso opposto e
percepito come unica reale alternativa alla becera propaganda della
destra e della Lega.
D'altra parte è proprio
dalla squallida deriva subculturale delle camicie verdi che escono
fuori le dichiarazioni razziste del vicepresidente del Senato
Calderoli. Con a ruota gli immancabili cretini della seconda ora,
tipo Serenella Fucksia, che, evidentemente provata dalla singolarità
del nome che porta, non ha voluto far mancare il suo contributo,
chiarendo che l'accostamento all'animale non deve essere considerato
un insulto e aggiungendo che Calderoli è in effetti il miglior
vicepresidente del Senato che si possa desiderare. Insomma, dare
dell'orango a un ministro di origini congolese ci può stare. E
l'ideatore del Porcellum non è neanche poi disprezzabile quando si
mette a fare il suo lavoro. È dotato, ma si impegna poco, il
ragazzo.
Ecco, ma non si pensi che
questi comportamenti siano il frutto un po' sopra le righe di qualche
esponente politico vulcanico o particolarmente brioso. Alle spalle
c'è, ben forte, una componente paraideologica, capace di evocare e
destare le paure riposte delle persone: se il diverso può
raggiungere i più alti gradi delle istituzioni italiani, la minaccia
è tangibile; è più che una minaccia. Le dichiarazioni di Calderoli
sono contro un'idea di società e contro un modello di sviluppo,
oltre che contro una persona specifica.
L'obiettivo che si deve
perseguire va esattamente nella direzione contraria e passa dallo ius
soli e dal diritto di voto, da una scuola più ricettiva e più
attenta all'interscambio culturale a strutture capaci di favorire
l'integrazione e la compenetrazione reciproca. Non esistono cittadini
senza rappresentanza e senza punti di riferimenti istituzionali.
Arroccarsi su posizioni di diffidenza o finanche di ostilità serve
solo a negare che l'immigrazione ha potenzialità inesauribili, sia
in termini di sviluppo economico sia in termini di sbocchi
occupazionali. E ciò sia detto senza volere disconoscere gli
inevitabili problemi di convivenza che il fenomeno ha creato, crea e
creerà. Il punto è sapere affrontarli, magari risolvendoli quando
sono ancora in nuce.
E questo compito spetta
alla sinistra. Solo una politica miope, o meglio cieca, ha potuto
soffrire la concorrenza leghista, senza opporre certezze, parole
chiare e contenuti forti. Solo una sinistra senza valori differenti
da quelli dell'autoconservazione ha potuto abbandonare alla deriva
gli ultimi e farsi subalterna rispetto a coloro che hanno votato la
Bossi-Fini, confinando nella categoria di incidentale scocciatura la
tutela dei diritti delle persone.