mercoledì 17 luglio 2013

Quando migrano gli oranghi

C'è tantissima ipocrisia nell'atteggiamento di chi relega il tema dell'immigrazione a un ruolo di rincalzo nel contesto delle cosiddette priorità del nostro Paese, priorità peraltro, ammesso lo siano davvero, sempre rinviate alle calende greche. Dietro alla melmosità di queste argomentazioni si cela soltanto, neanche troppo latente, il desiderio di chiudere la porta prima ancora di mettere la mano sulla maniglia. È solo una questione di ostilità pregiudiziale, pigrizia di intelletto, malafede studiata.
In realtà il fenomeno migratorio è una componente ineludibile del mondo contemporaneo, oltre che una costante antropologica dell'essere umano, e va analizzato in tutti i suoi aspetti, possibilmente senza paraocchi ideologici. In primis l'aspetto economico: gli immigrati regolarmente residenti in Italia sono più di 5 milioni, producono il 12% del prodotto interno lordo nazionale e contribuiscono alle casse dell'INPS per circa 7.5 miliardi all'anno, quasi sempre non riscuotendo il dovuto per mancanza di accordi bilaterali tra i paesi o per assenza di requisiti in termini di anni di contributi. Per lo più lavorano in posizioni non ambite dagli Italiani e costituiscono un motore ineliminabile per la sopravvivenza delle nostre imprese. Gli imprenditori stranieri sono in costante aumento e si concentrano nel settore del commercio, della manifattura e dell'edilizia: in molti casi danno lavoro agli stessi Italiani. Se per un giorno soltanto tutti i lavoratori immigrati smettessero di lavorare, il paese rimarrebbe bloccato con conseguenze inimmaginabili. Dal punto di vista demografico l'immigrazione rappresenta una vera e propria ancora di salvataggio, poiché va a supplire alla scarsa natalità italiana, producendo linfa vitale e ricambio generazionale. Certo, ciò farà storcere il naso ai puristi della razza italica, o padana, o ariana, ma tant'è. Sul piano culturale i flussi migratori significano nuove possibilità di mettersi in gioco, significano confronto con l'alterità e scoperta della propria identità, prima ancora di quella altrui. La società interculturale cui dobbiamo andare incontro è prima di tutto una sfida rispettosa e stimolante: non comporta alcuna perdita sul piano identitario, ma acquisizioni e prospettive di crescita. Certo, occorre mettersi in gioco e conoscere l'altro con un atteggiamento, guidato e coordinato dal mondo delle istituzioni e dall'associazionismo, di reciproca curiosità e fattiva collaborazione. Senza chiusure, senza falsi miti, senza un solidarismo di facciata, controproducente e troppo spesso opposto e percepito come unica reale alternativa alla becera propaganda della destra e della Lega.
D'altra parte è proprio dalla squallida deriva subculturale delle camicie verdi che escono fuori le dichiarazioni razziste del vicepresidente del Senato Calderoli. Con a ruota gli immancabili cretini della seconda ora, tipo Serenella Fucksia, che, evidentemente provata dalla singolarità del nome che porta, non ha voluto far mancare il suo contributo, chiarendo che l'accostamento all'animale non deve essere considerato un insulto e aggiungendo che Calderoli è in effetti il miglior vicepresidente del Senato che si possa desiderare. Insomma, dare dell'orango a un ministro di origini congolese ci può stare. E l'ideatore del Porcellum non è neanche poi disprezzabile quando si mette a fare il suo lavoro. È dotato, ma si impegna poco, il ragazzo.
Ecco, ma non si pensi che questi comportamenti siano il frutto un po' sopra le righe di qualche esponente politico vulcanico o particolarmente brioso. Alle spalle c'è, ben forte, una componente paraideologica, capace di evocare e destare le paure riposte delle persone: se il diverso può raggiungere i più alti gradi delle istituzioni italiani, la minaccia è tangibile; è più che una minaccia. Le dichiarazioni di Calderoli sono contro un'idea di società e contro un modello di sviluppo, oltre che contro una persona specifica.

L'obiettivo che si deve perseguire va esattamente nella direzione contraria e passa dallo ius soli e dal diritto di voto, da una scuola più ricettiva e più attenta all'interscambio culturale a strutture capaci di favorire l'integrazione e la compenetrazione reciproca. Non esistono cittadini senza rappresentanza e senza punti di riferimenti istituzionali. Arroccarsi su posizioni di diffidenza o finanche di ostilità serve solo a negare che l'immigrazione ha potenzialità inesauribili, sia in termini di sviluppo economico sia in termini di sbocchi occupazionali. E ciò sia detto senza volere disconoscere gli inevitabili problemi di convivenza che il fenomeno ha creato, crea e creerà. Il punto è sapere affrontarli, magari risolvendoli quando sono ancora in nuce.
E questo compito spetta alla sinistra. Solo una politica miope, o meglio cieca, ha potuto soffrire la concorrenza leghista, senza opporre certezze, parole chiare e contenuti forti. Solo una sinistra senza valori differenti da quelli dell'autoconservazione ha potuto abbandonare alla deriva gli ultimi e farsi subalterna rispetto a coloro che hanno votato la Bossi-Fini, confinando nella categoria di incidentale scocciatura la tutela dei diritti delle persone.

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