domenica 28 aprile 2013

Governo di crisi



Se ne sono già sentite troppe circa il gravissimo episodio di violenza avvenuto stamattina davanti a Palazzo Chigi, mentre i ministri del nuovo governo Letta stavano giurando sulla Costituzione. Tralasciando, per non far torto all'intelligenza mia e di chi legge, le farneticazioni idiote di chi avrebbe desiderato e desidererebbe la morte dei politici, della casta e di tutti, tra i giudizi più meschini e strumentali si contano quelli volti a legittimare, proprio in virtù dell'attentato, il nuovo esecutivo.
È chiaro come il sole, infatti, che l'attentato odierno costituisca una manifestazione estrema e terribile di quello stato di disperazione ormai così diffuso tra i nostri concittadini e causato da una crisi economica, sociale e culturale, quanto mai rovinosa. Ma non è certo il primo caso: risale a un mese e mezzo fa l'assurda uccisione di due impiegate della Regione Umbria, a opera di un imprenditore 43enne poi suicidatosi. L'urgenza del dramma che stiamo vivendo doveva essere palese a tutti molto prima di stamattina. Per capirci, eravamo già molto in ritardo quando l'allora (e attuale, de facto) Presidente del Consiglio vaneggiava su aerei pieni come scatolette di tonno e ristoranti sovraffollati. Che la soluzione a questo stato di gravissima emergenza sociale sia un governo studiato secondo il manuale Cencelli e sostenuto, e in parte composto, dagli stessi politici che hanno, nel migliore dei casi, chiuso gli occhi di fronte al dissesto economico del nostro Paese mi pare davvero curioso.
Tra i tanti commenti sul gesto folle di stamattina, ne ho sentito uno che mi ha fatto drizzare le orecchie. Il giornalista metteva in luce come stia diventando frequente in Italia l'uso di armi da fuoco e come questo ci stia avvicinando agli Stati Uniti. A me pare che il fenomeno di americanizzazione riguardi più la sperequazione sociale che l'utilizzo di armi, questione comunque da tenere sotto stretta sorveglianza. Mentre aumentava la disoccupazione, soprattutto giovanile, e la classe media perdeva potere d'acquisto, gli ultimi governi – e non solo – hanno pienamente sposato il principio laissez-faire e le dottrine neoliberiste, già della Thatcher e di Reagan, destituendo di senso i sindacati, togliendo ogni tipo di potere decisionale ai lavoratori, abbattendo l'istruzione e la sanità pubbliche, sventrando lo stato sociale e depauperando quegli enti locali erogatori di servizi indispensabili per i cittadini. Questa mirabile opera di annientamento non era obbligatoria. Si è trattato di scelte politiche consapevoli e meditate, che hanno conseguito il risultato di demolire ogni prospettiva di coesione sociale. In questa società, oggi, la realizzazione dell'individuo prescinde totalmente dalla realizzazione degli altri individui. Darwinismo 2.0, se vogliamo.
Ora, in questa situazione il Pd va a formare un governo con chi più di tutti ha incarnato questo spirito individualistico, sia in politica che, sia detto per inciso, nella vita personale. Mentre il Paese avrebbe seriamente bisogno di provvedimenti di sinistra, il maggior partito della sinistra italiana svolta a destra. Immagino bene dove andranno a finire le battaglie sui diritti, sul rilancio economico, sul welfare, sul contenimento delle disuguaglianze sociali. Immagino dove andranno a finire gli otto punti.
Poi, sia chiaro, spero che il governo Letta operi al meglio e faccia ciò che è chiamato a fare per arginare questa reale emergenza sociale. Ma se si dimentica il percorso che ci ha portati fin qui, non basterà certo il Letta di turno.  

sabato 27 aprile 2013

Amici di Letta




Chi ha letto questo blog, anche solo negli ultimi dieci giorni, sa perfettamente quanto io sia contrario alle larghe intese. Dunque non mi ripeterò. Alla luce della squadra di governo presentata oggi da Enrico Letta, dico che, considerato che siamo già nel peggio, poteva andare persino peggio. Purtroppo, come avrete capito, ciò non basta per convincermi della bontà dell'operazione. Non starò a ripetere le motivazioni per cui siamo arrivati a questo punto. Mi limito a sottolineare che ha vinto chi nel Pd ha voluto questa convergenza sin dal giorno 26 febbraio 2013, e probabilmente anche prima.
Ora mi auguro che questo governo riesca a portare a compimento i provvedimenti urgenti per i quali è stato nominato: una nuova riforma elettorale, possibilmente non a misura di Silvio, e interventi sulla cassa integrazione in deroga, sullo scandalo degli esodati, sui precari nelle Pubbliche Amministrazioni e, magari, sull'occupazione giovanile e sui costi del lavoro. Sarebbero tante altre le questioni da trattare, ma mi pare di aver già preteso troppo, considerato che si andrebbe ad arginare problemi che gli “alleati” hanno creato o contribuito a creare in maniera decisiva.
Certo, a sfogliare la rosa dei nomi espressi dal Pd, mi viene un forte rammarico. Fatta la doverosa eccezione per Franceschini, si tratta di nomi non banali, seppur scelti secondo l'abusata prassi di accontentare tutte le correnti interne. Con SEL e con un dialogo aperto e positivo con quella parte seria e motivata (magari minoritaria) del M5S sarebbe stata ben altra cosa. Ma nel partito di Grillo c'è qualcuno che ha remato nella stessa direzione dei 101 franchi tiratori Pd. E se quel qualcuno corrisponde al padre-padrone, c'è proprio da farsi un paio di domande.
Non mi resta che congratularmi con il mio concittadino Andrea Orlando, a cui va il mio più sincero in bocca al lupo. Ce n'è davvero bisogno. In tutta onestà però, il suo nome e la stima che nutro per lui non costituirebbero ragioni sufficienti per farmi votare la fiducia a questo esecutivo, se fossi seduto in Parlamento. Chiamatemi pure irresponsabile. Ma non è solo una questione di principio.  

mercoledì 24 aprile 2013

Il governo dei responsabili





La direzione Pd di ieri è stato uno spettacolo ignobile. Diciamolo in tutta franchezza. È stato uno spazio di democrazia e pluralismo solo esteriore, uno specchietto per le allodole, un paravento dietro il quale nascondere decisioni già prese e non più discutibili. Il documento approvato certifica di fatto l'abdicazione rispetto alle prerogative decisionali del partito e mette tutto nelle mani del Presidente della Repubblica, d'altra parte rieletto proprio per questo motivo. Al contempo passa la linea dura. Chi non vota la fiducia al governissimo, che non può essere il governo di scopo di cui si è parlato (al massimo con Silvio si può fare il governo di scópo, con o chiusa), è fuori. Roba da Grillo insomma. Ed è curioso che a proporre questa linea dura sia proprio chi ha visto il M5S come il demonio. Tu chiamale se vuoi affinità elettive.
Ora si va verso qualcosa di diverso. Inutile negarlo. Il governo con il Pdl non è solo una fase incidentale del percorso del Pd: è, purtroppo, la manifestazione più lampante di una direzione politica che guarda al centro e al centrodestra più che a sinistra. Ha vinto insomma quella linea del partito che vede il cambiamento come lo spettro più minaccioso. La stessa linea che è stata sonoramente sconfitta alle elezioni scorse. Ci diranno che sono la responsabilità e l'urgenza del momento a imporre questa scelta, trascurando scientemente le promesse elettorali, le intenzioni di una settimana fa e il buon senso. Si farà un governo con Gasparri, Cicchitto, Santanchè, Gelmini, Mussolini, Scilipoti, Capezzone, Formigoni e compagnia bella. Nel nome della gravità del momento e del rispetto delle istituzioni si farà un governo con chi ha provocato la gravità del momento e con chi le istituzioni le ha calpestate come nessuno mai.
Per divertirci un po' proviamo a indovinare che fine faranno i tanto acclamati otto punti. Cosa sarà possibile proporre a proposito di corruzione, di incandidabilità, di economia verde, della stessa scuola già rasa a zero dalla Gelmini, di ineleggibilità, di falso in bilancio, di diritti, di conflitto di interesse, di redistribuzione del reddito e di più equo carico fiscale? Sicuri di voler rispondere? Siate responsabili. 

martedì 23 aprile 2013

I trasformisti


Dopo mesi passati a denigrarlo e a dipingerlo come il sosia giovane e toscano di Berlusconi, in maniche di camicia, piacione e pop, ora tutta la dirigenza Pd si scopre favorevole a Renzi. Da Franceschini a Letta, passando per Orfini, il bersaniano di ferro, e D'Alema, il berlusconiano più attivo, gli abili strateghi che hanno condotto alla rielezione di Giorgio Napolitano sparano i botti a sorpresa. Devono aver rivisto Zelig di Woody Allen. 
Ora, trascurando il fatto che bruciare così l'unica personalità del Pd che ha dimostrato di godere di un largo consenso popolare è un'idiozia che corona degnamente questi ultimi giorni, mi pare che questa pioggia di trasformisti confermi la responsabilità attiva, e non solo indiretta o morale, del sindaco di Firenze nel disastro presidenziale. D'altra parte non è affatto escluso che tutta questa manovra non sia motivata dalla volontà di screditare e affossare definitivamente il buon Matteo. In ogni caso, la questione assume i contorni del grottesco, se si pensa alla rottamazione. Se la stessa dirigenza rottamanda incarica il rottamatore, dove va a finire l'unico punto accettabile della proposta politica di Renzi?
Si aprono orizzonti rosei per la sinistra italiana. Da oggi magari potranno convivere amorosamente Rosy Bindi, che con la consueta perspicacia individua nei social network e nella base il problema dei giovani parlamentari piddini che non hanno votato per Marini, Anna Finocchiaro, che la base non sa neanche cos'è, Giuseppe Fioroni, che vorrebbe buttare fuori Civati e tutti quelli che non hanno ceduto alle larghe intese, Massimo D'Alema, che Prodi non l'ha mica pugnalato alle spalle, e tutti i rottamatori, che si fanno rottamare da un gruppo dirigente che non si può più definire impreparato o stolto, ma abbarbicato ai propri scranni, colluso con la destra e ostile a ogni tipo di cambiamento. 
L'ho già detto e torno a ripeterlo: per tutto questo non c'è una soluzione indolore. Il rinnovamento deve investire i contenuti e con essi le persone. Chi si illude che basti un po' di ricambio generazionale, condito da qualche facile slogan elettorale, chiude gli occhi di fronte alla realtà dei fatti. Una realtà fatta di insoddisfazione profonda, di scollamento tra elettori e dirigenza, di bisogno di cambiamento e di rifiuto delle logiche autoconservative e collaborazioniste, di cui le larghe intese saranno la più accecante manifestazione. 

domenica 21 aprile 2013

La serrata




Questa tre giorni di eccellenza politica ha prostrato ogni residua illusione di un autentico governo di sinistra. Emerge in tutta la sua evidenza la realtà di un centinaio di franchi tiratori che non ha tradito affatto la propria vocazione o i propri ideali politici, ma ha semplicemente proseguito su un cammino intrapreso molti anni fa, di cui questa situazione è solo il coronamento più eclatante. L'influenza della frangia inciucista e tendente a destra, quelli di sinistra che odiano la sinistra come li ha giustamente definiti Michele Serra, ha prevalso sulla volontà di rinnovamento degli altri. Hanno prevalso trame vecchissime che prevedevano, tra le altre amenità, l'affossamento etico di SEL, accusato immediatamente di aver votato Rodotà, al quale erano giunti non a caso una quarantina di voti in più, invece che Prodi. Che la prospettiva della fusione dei due partiti abbia spaventato i detentori di un potere inveterato? Che lo scossone dato da Fabrizio Barca abbia fatto pendere la bilancia per la conservazione degli equilibri usati?
Che sia chiaro a tutti, ora le redini del prossimo governissimo le terrà Berlusconi, il quale avrà dalla sua la facoltà di staccare la spina nel momento a lui più propizio, defilandosi quando i sondaggi lo vedranno più che sicuro della sua scontata vittoria. E, in più, sfrutterà a proprio favore questa mossa, mostrandosi del tutto estraneo rispetto ai disastri che il governo inevitabilmente compierà. Il Pd sarà in minoranza sicuramente a livello di forza e forse anche a livello numerico. Siamo entrati in un Berlusconi V de facto.
Non c'è una soluzione pacifica a tutto questo, inutile girarci intorno: al prossimo congresso le diverse proposte politiche, cioè la convergenza con il Pdl e l'aspirazione al cambiamento, dovranno essere messe sul tavolo senza infingimenti e giochetti da quattro soldi. E temo che l'unica strada percorribile sia quella della separazione, perché ritengo esaurito e sconfitto nei fatti il progetto del Pd, così come sancito dallo statuto, tanto bello sulla carta quanto ignorato nella pratica, e perché ritengo altamente improbabile l'unica vera alternativa, cioè la guerra interna con relativa decapitazione di tutto il quadro dirigenziale e di tutti i suddetti capetti di sinistra che odiano la sinistra.
Di certo c'è che non va abbandonata la strada del dialogo con il M5S. E il dialogo dovrà essere sincero e non strumentale anche dall'altra parte: se la risposta sarà il muro offerto finora, il Movimento non uscirà mai dalla sua spirale autorefenziale e autoritaria, di cui la struttura interna non è che la più eloquente manifestazione. Coloro che davvero non vogliono più assistere, con rabbiosa impotenza, alle serrate del potere e alla chiusura del Palazzo nei propri meandri melmosi utili solo all'autoconservazione dovranno fare un passo insieme nella stessa direzione. A Grillo tutto questo marciume fa molto comodo. A quegli eletti animati da buone intenzioni forse un po' meno.
Si dovrà discutere di questi temi al prossimo congresso. E si dovranno prendere serie contromisure. Perché, francamente, vedere Berlusconi governare, anche quando non ha preso i voti necessari per farlo, grazie alla compiacente e felice collusione di un'influentissima parte del maggior partito del - supposto - centrosinistra italiano è ben più che intollerabile.

venerdì 19 aprile 2013

Punto di non ritorno


Pd caos, Bersani si dimette: 'Uno su 4 ha tradito'   101 voti in meno a   Prodi che si ritira. Bindi lascia

C'è chi si dimette per ammissione di colpa, la colpa di non aver saputo gestire un partito ingestibile, riottoso, masochista e venato dai soliti giochini di potere. C'è chi si dimette perché "non responsabile". C'è chi rinuncia alla candidatura, perché di scarpe gliene hanno fatte abbastanza. 
E poi c'è chi resta al proprio posto, un posto che non merita perché da quattro lustri colleziona sconfitte, inciuci e trame oscure da cui esce sempre misteriosamente impunito. E c'è chi a rinunciare alla candidatura non ci pensa neanche. 
Finché D'Alema, la Finocchiaro, Letta, Fioroni, Franceschini e la loro allegra comitiva, che farebbe impallidire la P2, non si faranno da parte e non si prenderanno gli insulti che meritano, non basteranno le dimissioni degli altri. 
Forse la cosa che non è chiara a questi maestri della strategia politica è che da qui non si torna indietro. Questa è la formattazione del Pd, che sconta nella maniera più tragica, oltre alla malafede di molti, le irrisolte contraddizioni interne. Questo è il punto di non ritorno, perché chiunque succederà a Bersani sa che non potrà più ignorare la volontà dei suoi elettori e della base. Cambia il modo di fare politica e cambia nella maniera più dura e drammatica per il Paese. Si ripartirà necessariamente da coloro che hanno fatto resistenza ieri e che non hanno tradito oggi, che per fortuna non sono pochi e che, non a caso, sono il frutto bellissimo delle primarie per il Parlamento. Sono gli stessi che hanno dovuto rispondere al telefono e placare l'ira dei propri elettori. A loro è stato chiesto un conto che ai cospiratori non verrà mai chiesto. 
Ci aspettano giorni e mesi, forse anni, di battaglia per cambiare tutto. Non so in che misura, non so in che termini e non so con quante speranze, ma io ci sarò. 

giovedì 18 aprile 2013

Quanto male il Quirinale




Siamo a una svolta epocale. Molto spesso in passato la sinistra italiana ha pagato a livello elettorale errori veri, presunti o arbitrariamente addebitati. Ora per screditare il Pd non c'è neppure bisogno di cercare troppo approfonditamente. Bersani e tutta la dirigenza hanno compiuto un suicidio politico che ha del mirabolante: al contempo sono riusciti a spaccare il partito, spaccare l'intera coalizione, bruciare il proprio candidato, mettersi nelle condizioni di perdere la faccia e il consenso, anche nel caso andasse ora a eleggere il Presidente più rispettabile di tutti i tempi, far diventare il vessillo ideologico di Grillo una persona dalla caratura intellettuale e istituzionale straordinaria e che è stata presidente del Pds e andare a braccetto con Berlusconi, dimostrando di volere l'inciucio più di quanto gli avversari ne cercassero le prove.
Non ci girerò intorno perché non è mia consuetudine e perché la decisione del Pd, di una gravità e di una stoltezza impareggiabili, mi impone di essere molto chiaro: il segretario, e per lui, seriamente, lo dico a malincuore e con rammarico data la strada che era stata intrapresa, e, molto meno a malincuore, la dirigenza intera (da Franceschini a Letta, passando per la Finocchiaro e, of course, D'Alema), con il loro metodo paternalistico e calato dall'alto, da intellighenzia che non può neppure permettersi di definirsi tale, devono rassegnare le dimissioni e fare spazio a chi si è davvero fatto portavoce del rinnovamento interno ed esterno. Si deve ripartire da quella opposizione parlamentare così massiccia e orgogliosa. Si deve ripartire dalle persone che hanno, da subito e senza indugi, scelto di non votare per Franco Marini. Ma non nel nome di una rottamazione aprioristica e solo anagrafica, tanto allettante nella forma quanto vuota nei contenuti. Nel nome della credibilità. Chi andrà a parlare con gli elettori del suo centrosinistra dovrà avere la forza della verità dalla sua e dovrà dire, senza tema di smentita, che a questa impudente e spropositata idiozia non ha preso parte.

Bicamerale Marinata



Grandi notizie per chi vuole la fine politica del Pd e del centrosinistra! Salvo smentite dell'ultima ora il candidato del Pd, o meglio, di un brandello di Pd, sarà Franco Marini: sì, lo stesso che, con l'immancabile D'Alema, contribuì in maniera decisiva alla caduta del governo Prodi nel 2000 e che, tanto per capirci, gli elettori abruzzesi delle primarie per il Parlamento hanno fragorosamente deciso di trombare. 
Ora, tale straordinaria mossa strategica, oltre che suonare come una decapitazione del segretario operata da qualche baffuto e offeso gerarca, non si spiega se non come preludio all'esiziale governissimo che da giorni si palesa nei miei incubi peggiori. 
In ogni caso, al di là del curriculum di Franco Marini, indicare lui per il Quirinale in un clima politico come quello che stiamo vivendo significa dar ragione a Grillo e dar ragione a chi delinea una suddivisione rigidamente manichea, laddove i buoni sono interamente rappresentati dal M5S e i cattivi da tutti gli altri partiti senza eccezione alcuna. Ciò significa, soprattutto, non dare seguito alle intenzioni di rinnovamento dichiarate il giorno dopo le scorse elezioni e al buon programma presentato, invano, ai grillini, la cui responsabilità in questo senso non è comunque da dimenticare. Ciò significa, invece, perseverare con una politica paternalistica, calata dall'alto per vie imperscrutabili che gli elettori devono mandare giù: non lo sanno, ma è per il loro bene. La realtà dei fatti è che questa soluzione, per una volta, mette d'accordo l'elettorato del Pd: nessuno è favorevole. 
In questo momento tutto il mio sostegno va a quei parlamentari di Pd e SEL (e non sono pochi) che si sono opposti con decisione a tale scempiaggine. Per fortuna, checché se ne dica, tutti uguali non sono. Se mai si ripartirà, si dovrà ripartire da quei no fermi. E da una dirigenza molto diversa. 

mercoledì 17 aprile 2013

Quanto vale il Quirinale





Conoscendo la vocazione autolesionista del centrosinistra italico, non mi stupirebbe che domani Bersani e i suoi votassero Amato come Presidente della Repubblica. Intendiamoci, non ho nulla contro Amato, persona di per sé rispettabile sia per la grande esperienza sia per i ruoli rivestiti in momenti chiave della nostra storia repubblicana. Ma più che il curriculum conta il valore simbolico di una scelta del genere: votare Amato, e altri molto meno apprezzabili di lui, oggi come oggi significa sostenere una politica di continuità rispetto a un passato recente e meno recente da non emulare.
Se non fossi pessimista per natura, non darei troppo ascolto alle voci di grandi intese che circolano sui giornali in questo momento. E non darei credito a Grillo, che di credito ha già ampiamente dimostrato di meritarne poco e che sta conducendo la sua personale campagna di recupero voti, mostrandosi a parole disponibile al dialogo dopo averlo nei fatti recisamente rifiutato. Inoltre spererei ancora che dal cilindro possa uscire un nome illuminante non uscito finora.
Ma bisogna pur dire che, senza andare troppo lontani, basterebbe dare un'occhiata alla rosa dei nomi proposti dal M5S. Tra questi, scartati coloro che per ovvie ragioni di competenza non possono aspirare al Quirinale, si annoverano Rodotà, Zagrebelsky, Prodi, che solo per il fastidio che provoca a Berlusconi dovrebbe essere eletto per acclamazione, e, al limite, anche la Bonino.
Che il Pd vada a pescare in questo bacino. O che presenti un nome diverso per nome e cognome ma simile per significato politico. Solo così, producendo il cambiamento e rifiutando la Restaurazione, si potrà andare avanti. Dando una buona dimostrazione di sé. Cosa che i vari Marini e Finocchiaro, con l'apporto insostituibile di un Renzi, pur una volta tanto condivisibile nei contenuti, non hanno saputo fare negli ultimi giorni. E forse neanche negli ultimi anni.  

lunedì 15 aprile 2013

Il dialogo dietro la cortina




Un'indicazione molto interessante viene dalle cosiddette Quirinarie: la rosa dei dieci nomi più votati dai militanti a cinque stelle, Beppe Grillo a parte, la cui scontata ridda di preferenze è dettata dal suo ben coltivato culto della personalità e dalla sua propensione evangelica, è espressione di un elettorato di sinistra. Se poi in questa lista compare anche Romano Prodi, cioè colui che ha guidato, sempre contro Berlusconi, la coalizione vincitrice nel 1996 e quella vincitrice solo sulla carta nel 2006, allora inizia a frantumarsi, partendo dalle fondamenta della democrazia liquida, l'usato refrain del “son tutti uguali” e “da vent'anni bla bla bla”. Beninteso, non condividere né i provvedimenti presi dal centrosinistra durante i suoi sette anni di tormentato governo né quelli presi durante gli undici del centrodestra è parere del tutto legittimo, ci mancherebbe. Ma velare tutto di un'oscurità fitta in cui ogni differenza si annulla e tutto assomiglia al suo contrario è un arbitrio che cela malanimo e ignoranza o, peggio, malafede.
Certamente questi voti online, molto poco trasparenti e piuttosto esigui nel numero ma, ciò nondimeno, in qualche modo rappresentativi, confermano che molti dei voti che alle ultime elezioni sono mancati al centrosinistra, in misura molto maggiore rispetto a quelli che sono mancati al centrodestra, sono da rintracciare nel Movimento di Grillo.
A maggior ragione allora, è doveroso sostenere ancora e con più decisione la strategia di confronto con i grillini proposta da Bersani e, soprattutto, rifiutare recisamente quella enorme foglia di fico, buona ad assecondare non l'urgenza che il momento impone ma la paura di tornare in Parlamento con molti meno seggi e molto meno potere contrattuale, chiamata governissimo. Ricordo agli smemorati, si veda alla voce Franceschini, che Berlusconi non fa mai niente per niente e che di sicuro non ha mai mostrato di possedere quel senso di responsabilità e quel rispetto delle istituzioni che finge di avere in questo frangente. Questi repentini rigurgiti di resipiscenza sono poi significativamente alternati dai grandi successi di sempre, dalla magistratura politicizzata al terrore rosso, come successo non più tardi di sabato a Bari, regolarmente ben al di sotto della soglia di decenza minima per vivere in un contesto sociale, soglia che pure abbiamo giocoforza abbassato in maniera drastica in questi anni.
Come al solito, il dialogo è la soluzione. Ma con chi si è fatto carico dell'istanza di rinnovamento e ne ha fatto la propria – pur demagogica – bandiera. Perseverare in questo tentativo è l'unica via per scavare un solco entro il quale seminare alcuni contenuti. Dall'occasione di un confronto serio e non obliterato a priori da una gestione padronale e autoritaria del partito potrebbero trarre beneficio entrambi gli interlocutori: da una parte il Pd imboccherebbe la strada migliore, accogliendo e discutendo senza paraocchi alcune questioni pressanti, soprattutto di moralità, e rendendo finalmente operative quelle proposte di cambiamento da molto tempo presenti nel partito ma mai assunte e sposate pienamente per paura di abbandonare un modo di fare politica superato; dall'altra parte il M5S vedrebbe valorizzata la propria parte democratica e costruttiva, fagocitata finora dal dispotismo della diade al comando, e, a contatto con l'unica forza realmente democratica rimasta in questo Paese, scoprirebbe che il confronto non è automaticamente un inciucio e che la dialettica, interna ed esterna, non è un segno di debolezza ma una dimostrazione di intelligenza. Resterebbe così ai margini quella fetta ingombrante del Movimento catapultata in Parlamento per alzare muri e fare barricate, ergendosi a portavoce della democrazia diretta, che non è possibile ora e che non era possibile neanche nell'Atene di Pericle, e facendosi interprete di quella politica al ribasso, già ben nota a Berlusconi e al Berlusconismo, così minacciosa per la sopravvivenza democratica del nostro Paese.
Al netto degli interessi privati ed extra-politici dei capi del Movimento, questa è un'occasione di crescita diversa ma comune. Non da rigettare nel nome degli ultimi vent'anni ma da cogliere perché i prossimi venti siano un po' meno peggio di quelli passati.

martedì 9 aprile 2013

La prospettiva Niet


Forse si comprende al meglio la condizione di un Paese dalle prospettive che esso si trova davanti. In questa situazione ingarbugliata la soluzione più caldeggiata e meno improbabile, a quanto pare, è l'appoggio pidiellino al Pd. Lo vuole Berlusconi perché sa che ciò sancirebbe la fine politica di un ingombrante rivale. Lo vuole Grillo perché sa che ciò gli permetterebbe di continuare a protestare e a urlare all'inciucio, senza assumersi alcuna responsabilità attiva. Lo vuole, temo, Napolitano perché il ruolo istituzionale, in cui pare immedesimarsi un po' troppo, gli impone di auspicare una larga intesa che faccia da argine a una crisi sociale, economica e culturale di proporzioni inaudite. Preoccupato com'è, ha pure nominato dieci saggi, che sono così saggi che l'unico vero saggio del gruppo ha saggiamente detto che non servono a un tubo.
Questo carrozzone triste, che trascina con sé la condizione larvale della nostra dignità di cittadini italiani, affonda le sue radici, per una volta per niente remote, nel quanto mai strumentale rifiuto grillino all'offerta di collaborazione proveniente dall'unica forza politica disposta al cambiamento. Sarebbe stata l'occasione per il Movimento di controllare da vicino l'operato delle forze di governo, contribuendo attivamente a costruire quella rivoluzione di cui vanno sbraitando da tempo e, più pragmaticamente, minacciando il Pd di far mancare la fiducia nel caso di proposte sgradite. Se siamo nella dimensione del condizionale non è per una errata valutazione politica. È, molto semplicemente, perché gli intenti del ducetto berciante sono irriducibili alla prassi parlamentare e alla democrazia rappresentativa.
Così, mentre torniamo studenti alla vista della Camera occupata e ci prepariamo, chissà, ad assistere a un ciclo di lezioni autogestite sui vaccini e l'omosessualità, ricordiamoci che le commissioni sarebbero già partite da un pezzo, se i grillini avessero tenuto fede al loro proposito di cambiare le cose. Già che ci siamo, ricordiamoci anche che le commissioni hanno senso se esiste un Parlamento in grado di funzionare e di interloquire con un governo che abbia ottenuto la fiducia da deputati e senatori.
Speriamo di non doverci ricordare in futuro di quando Grillo e Berlusconi fecero cascare la coalizione di centrosinistra nel loro diverso ma uguale trappolone. In tal caso staremo erigendo un monumento ai caduti.

lunedì 1 aprile 2013

Il non addio ai Monti



Se vi aspettavate una bella sorpresina nell'uovo di Pasqua, sarete rimasti soddisfatti. Il giorno che precede la resurrezione di Peppe, Napolitano ha sbloccato l'impasse, decidendo di creare due commissioni di saggi, tra i quali si annoverano Giorgetti, Violante e Quagliariello. Sì, rispettivamente il leghista, quello del video fatto circolare dai grillini e colui che, quanto a misfatti e indecenze, è secondo a pochissimi, e comunque tutti del suo partito.
Insomma Napolitano, e lo dico con tutto il rispetto del mondo, si scopre grillino nell'animo e al Movimento offre un assist clamoroso, degno di un Pirlo in formato mondiale: garantendo agli adepti del Grillo berciante la possibilità di rimanere fuori dalla stanza dei bottoni, il Presidente consegna loro il lasciapassare per la perseveranza in quel no aprioristico e in quella resistenza passiva che sono la sostanza unica del loro operato, senza i quali sarebbe a serio rischio la loro sopravvivenza politica stessa. Ora Grillo potrà tranquillamente continuare a battere i pugni sul tavolo e invocare a gran voce complotti inesistenti, ma ben presenti nell'immaginario del suo elettorato e del suo possibile elettorato.
L'alternativa più logica a questa patacca pseudo-legislativa, sulla cui operatività, Costituzione alla mano, nutro seri dubbi, sarebbe stata mandare Bersani alle camere, a presentare il proprio programma e la propria squadra, che, intendiamoci, sarebbero rimasti certamente allo stato di pure intenzioni, ma che, per lo meno, avrebbero inchiodato i grillini alle proprie responsabilità. Ora invece, dovremo, si fa per dire, riporre le nostre speranze in una doppia commissione che di saggio non ha neanche l'odore e che, anzi, rappresenta la parte più squalificata e indegna della politica italiana, la stessa che ha permesso al partito dei due caudillos di raggiungere un indecoroso 25% di consensi, frutto di una rivoluzione sbandierata ai quattro venti e concretizzatasi in una vera e propria restaurazione. Dal rigor Montis alla prorogatio Montis evidentemente il passo era molto più breve di quanto si pensasse. L'importante è che le baggianate vengano gridate forte. Per il resto va tutto bene. Anche un uovo di Pasqua ripieno di bitume montiano.
Buona Pasquetta a tutti. Ce ne sarà bisogno.